e Federica Pacella
L’ultima tessera. L’ultima carta, mai giocata per nove anni e in tre processi. La tenue speranza per un processo di revisione, la strada tentata da Olindo Romano e dalla moglie Rosa Bazzi, all’ergastolo per la strage di Erba. Bozzoli cala sul tavolo la sua carta ora, tardivamente, dopo che la condanna al carcere a vita per l’omicidio dello zio Mario è stata pietrificata dalla Cassazione. C’è un testimone austriaco che lo scagiona, sostiene. Giovedì sera, ai carabinieri che lo stavano arrestando nella sua villa di Soiano del Lago, ha parlato del fantomatico personaggio senza specificare l’identità né in che modo potrebbe soccorrerlo. Ha riferito di aver scritto della sua esistenza in una lettera inviata, in contemporanea, al procuratore di Brescia Francesco Prete, al procuratore generale Guido Rispoli, a Roberto Spanò, presidente della Corte d’Assise da cui è uscita la prima condanna.
In Austria i Bozzoli avevano clienti e conti correnti per movimenti di materiale ferroso all’estero. Lo dimostra la circostanza che nel giugno 2015, con la sua utenza telefonica principale, Giacomo contatta tre numeri austriaci, due fissi e un cellulare, associati a un’azienda che opera nel settore metalli, la Montanwerke Brixlegg. Il 18 ottobre dello stesso anno, dieci giorni dopo la misteriosa sparizione di Mario dalla fonderia di Marcheno, l’operaio Giuseppe Ghirardini, un veterano dell’azienda, viene rinvenuto cadavere, avvelenato da una capsula di cianuro, a Case di Viso, sopra Ponte di Legno. Nella sua abitazione, riposti in un cassetto, i carabinieri trovano 4.400 euro, banconote da 500 emesse dalla Banca Centrale Austriaca. Il 10 ottobre, al ritorno da una battuta di caccia con il nipote, Ghirardini si è fermato in un supermercato di Brescia e ha fatto acquisti utilizzando una delle banconote. Secondo i pubblici ministeri del processo Bozzoli, la somma è il compenso per l’"aiuto" prestato a Giacomo. Una tesi contestata dalla difesa: su quei soldi non ci sono impronte di Giacomo e la somma potrebbe essere un prestito concesso da Mario Bozzoli al suo dipendente. Respinta con forza dalle sorelle di Ghirardini l’immagine del fratello complice e di un suo suicidio "parlante", schiacciato dal rimorso.
Gli inquirenti lavorano per accertare la provenienza dei 50mila euro custoditi in un borsello che Giacomo Bozzoli aveva con sé quando, per sfuggire alla cattura, si era nascosto nel cassettone del letto matrimoniale. Nella mattinata di ieri, nel carcere di Bollate, ha incontrato per due ore e mezza i difensori, l’avvocato Luigi Frattini e il figlio Giovanni. Nessun commento, al termine, da parte dei legali. Si sa che è stato un colloquio soprattutto sul piano umano, in vista della nuova vita che attende Giacomo, 39 anni il 19 luglio: la vita dell’ergastolano, che soltanto la revisione del processo potrebbe cambiare. Una prospettiva per il futuro nella quale entra il desiderio più grande: vedere la compagna e il figlioletto, sapere quali sono le procedure da seguire.
A Marcheno serrande chiuse nella villetta di Adelio e Alex Bozzoli, padre e fratello di Giacomo. Al citofono, con il nome scritto a penna su un foglietto che si legge appena, una voce di donna risponde: "Non c’è nessuno, mi spiace". Nel centro della Val Trompia, i Bozzoli, da tempo, compaiono poco. "Non si vedono quasi mai, la fonderia è stata venduta, loro hanno la casa sul lago", conferma una barista. In paese, però, di loro si parla, si fanno ipotesi, ci si interroga sulla storia, adesso che è spuntata anche l’ipotesi del testimone austriaco. Ci si chiede perché Giacomo sia fuggito e se qualcuno possa averlo aiutato. "Ma noi qui non sappiamo nulla – conclude la barista – Le notizie è più facile che arrivino da fuori".