Brescia, 18 settembre 2024 – Cellulari e droga portati dentro e fuori da Canton Mombello, ma anche soldi e assegni. Un giro che ha portato all’ordinanza di custodia cautelare per 13 persone, accusate a vario titolo di corruzione in atto contrario ai doveri di ufficio, accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti, tentata estorsione aggravata, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria. L’inchiesta ha portato ieri anche a un blitz in tenuta antisommossa, nella zona di viale Venezia, con i carabinieri del Nucleo investigativo di Brescia con il Nucleo investigativo regionale della Polizia penitenziaria di Milano che ha destato non poca preoccupazione tra i residenti.
Il blitz a sorpresa
Poco dopo le 14 i carabinieri delle Aliquote di primo intervento e gli agenti della Penitenziaria hanno bloccato via Naviglio Grande, nel tratto tra le vie Costantino Quaranta e Luca Marenzio. Si è poi saputo che si trattava appunto di una mega operazione legata all’inchiesta che coinvolge anche un agente della Polizia penitenziaria, Giuseppe Di Leo: secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbe fatto da tramite tra i detenuti e le famiglie, mettendosi a disposizione per portare dentro e fuori dal carcere droga, nascosta all’interno di cioccolatini in confezioni apparentemente integre, soldi, cellulari. A segnalare il suo comportamento anomalo, a gennaio 2021, erano stati i colleghi.
Nel mirino degli inquirenti, oltre all’agente, anche un gruppo di detenuti ed ex detenuti nonché un avvocato milanese. Quattro indagati sono finiti in carcere: si tratta di Sandro Monteleone, Francesco Leone, Ernesto Settesoldi, Nicolò Fornasari. Ai domiciliari sono invece lo stesso Di Leo, Stefania Pelucchi, Antonio Leone e Luciana Bernardini; mentre altri quattro sono sottoposti all’obbligo di presentazione alla Polizia giudiziaria. Per il legale del Foro di Milano Alessandro Sacca è scattato il divieto di esercitare la professione per un anno. Lo studio dell’avvocato avrebbe favorito l’aggiramento delle norme sulle comunicazioni concesse ai detenuti. Le accuse riguardano fatti che sarebbero avvenuti due anni fa, ma per il giudice c’è il rischio di reiterazione del reato per cui sussistono le esigenze cautelari.