BEATRICE RASPA
Cronaca

Brescia, maltrattamenti alla moglie: ecco perché il marito è stato assolto

Le motivazioni contenute nella sentenza che ha scagionato dalle accuse l’uomo originario del Bangladesh

Il tribunale di Brescia

Brescia, 12 gennaio 2024 - Il marito originario del Bangladesh finito a processo per maltrattamenti e violenza sessuale nei confronti della moglie connazionale, e poi assolto dalle accuse,  è stato vittima di una “versione concordata” tra la ex e il nuovo amore. I due si sono impegnati in 'una affannosa ricerca di prove solide  al fondamento dell'ipotesi di accusa, specialmente con riguardo ai maltrattamenti, e che ha prodotto un macroscopico e irrimediabile inquinamento probatorio”.

Non solo: sarebbe stato vittima di una sorta di pregiudizio culturale al contrario, secondo cui il contesto di provenienza andrebbe a braccetto necessariamente con comportamenti violenti. È l'idea che si sono fatti i giudici del chiacchierato processo lo scorso ottobre balzato agli onori delle cronache per la richiesta assolutoria del pm, Antonio Bassolino. Il sostituto procuratore dopo aver spiegato che riteneva le condotte insussistenti difettando l'abitualità delle stesse si era inerpicato in un ragionamento giuridico che aveva fatto saltare molti sulla sedia: anche qualora tali condotte risultassero provate, sintetizzava la sua conclusione scritta, ‘i contegni di compressione delle libertà morali e materiali della donna… sono il frutto dell’impianto culturale, e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge’. Il reato, insomma, risultava carente del dolo soggettivo. Un'affermazione che aveva scatenato polemiche.

"È superfluo rammentare che non possa trovare cittadinanza nell'ordinamento giuridico  di uno Stato costituzionale di diritto alcuna forma di scriminante culturale che autorizzi la perpetrazione di comportamenti aggressivi dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione - scrive nelle motivazioni la presidente della prima sezione penale, Maria Chiara Minazzato - Per le medesime ragioni difettano  aree permeabili a pregiudizi culturali  che muovendo da questa o quella provenienza degli imputati , pretendono di aprire le porte a surrettizi giudizi di responsabilità  oggettiva in materia penale, in spregio allo stesso dettato costituzionale e comunitario, che stabiliscono la personalità della predetta responsabilità, vogliono l'eguaglianza di ogni persona dinanzi alla legge, anche processuale, che governa il corretto accertamento della colpevolezza dell'imputato”.

A tal proposito ai giudici non è parso peregrino evidenziare come il nuovo compagno della parte offesa, raccogliendo le sue confidenze in merito a un presunto rapporto turbolento con il marito, entrò subito in allarme rispetto a un presumibile contesto di abusi maritali. Una deduzione in buona fede, certo, ma 'le criticità probatorie hanno consentito anche che si facesse spazio  all'ipotesi alternativa ragionevole che la parte offesa, determinata a separarsi, abbia percorso tutte le strade a sua disposizione, segnatamente quelle indicate a lei dall'uomo in cui riponeva totale fiducia, per liberarsi dall'opprimente complessiva situazione familiare all'evidenza non riconducibile alla responsibilità del marito". Ventiseienne originaria del Bangladesh, in Italia da quando aveva 4 anni, mamma di due bambine, a suo dire la giovane a lungo era stata vittima di vessazioni, botte e insulti da parte dell’uomo che era stata costretta a sposare. Un cugino a cui fu venduta dalla madre per 5mila euro, e che l’avrebbe chiusa in casa, obbligata al sesso e a vestire abiti tradizionali.

Un altro pm in precedenza voleva archiviare il procedimento, ma il gip aveva disposto un’imputazione coatta. 'Le dichiarazioni della parte offesa non sono risultate né solide né idonee a fondare oltre ogni ragionevole dubbio il giudizio di penale responsabilità' continuano le motivazioni della sentenza di assoluzione. Sono apparse 'generiche', e viziate da "contraddittorietà e mendacità”. Appare del resto 'centrale' nella vicenda della denuncia la storia con il suo datore di lavoro, un finanziere, al cui padre la donna aveva fatto da badante e collaboratrice domestica. Fu lui - denunciato a sua volta dall'imputato per minacce - a consigliarla di denunciare il marito.

“Sorprende che a fronte dell'insistenza del sentimento di terrore suscitato dalla possibilità di essere intercettata dall’imputato, solo poche ore ore dopo la formalizzazione dell'esposto, la donna abbia rifiutato il collocamento in struttura protetta' continuano i giudici, e che la stessa non abbia intrapreso alcun percorso di sostegno psicologico suggerito dalle assistenti sociali, né abbia mai parlato con loro di violenze o maltrattamenti. La parte offesa ha presentato un esposto redatto insieme al suo nuovo amore 'senza alcun evento scatenante', due giorni dopo che l'uomo aveva saputo di essere stato denunciato dall'imputato.