REDAZIONE BRESCIA

Brescia, estorsioni, incendi e intimidazioni. Ma per il giudice non era mafia

Ristoratore condannato a 10 anni e 11 mesi ma non è un boss. Esclusa l’aggravante

Il pm Paolo Savio in prefettura per un incontro sulla criminalità organizzata

BRESCIA «Mi aspettavo un’assoluzione, ma considerato che mi accusavano di essere un mammasantissima ho già vinto. Ci vedremo in appello". Così il ristoratore Massimo Sorrentino ha commentato ieri la condanna a 10 anni e 11 mesi che i giudici gli hanno inflitto per la presunta “Pizza connection” bresciana, un’inchiesta che nel 2018 aveva acceso i riflettori su estorsioni, incendi ed atti intimidatori ai danni di locali concorrenti ad opera di pregiudicati campani e calabresi. Per il pm Paolo Savio (nella foto) a manovrarli era Sorrentino, a cui contesta il metodo mafioso. Nella pizzeria di proprietà della moglie furono scoperti due fucili a canne mozze, due pistole e un passamontagna. L’accusa riteneva che il locale fosse la base operativa di una banda di tossicodipendenti pagati dal ristoratore con cocaina in cui si pianificavano illeciti di ogni tipo. Il Tribunale ha però escluso l’aggravante del metodo mafioso e ha condannato Sorrentino ‘solo’ per ricettazioni, traffico di droga, monete false e incendio, mentre lo ha assolto da altre estorsioni e una violenza sessuale di gruppo. Alla sbarra c’erano altri 14 imputati (uno è deceduto) e il processo si è chiuso con quattro assoluzioni e dieci condanne, dai 6 mesi ai 9 anni. Beatrice Raspa