Brescia- “La condotta per cui procede l’autorità tedesca non corrisponde a nessuna fattispecie di reato prevista dalla legge italiana”. Risultato: “La consegna va rifiutata”.
E’ la decisione presa oggi dalla Corte d’appello di Brescia in merito un 35enne di Brescia, arrestato lo scorso maggio in esecuzione di un ordine di arresto emesso dalla Germania per una presunta truffa da mezzo milione euro in bitcoin ai danni di una società tedesca. Le autorità tedesche ne chiedevano la consegna per poterlo processare in presenza. Ma la richiesta è stata appunto respinta.
Incensurato, interessi in ambito finanziario, l’uomo era stato prelevato mesi fa dalla sua abitazione in centro a Brescia dai carabinieri. In mano avevano un mandato di arresto europeo emesso dalla Pretura di Furth in ordine a un presunto reato di ‘infedeltà’. Stando all’accusa il bresciano nel luglio 2021 aveva sottoscritto un contratto di brokeraggio con una società, la P&P Trading GmbH, per scambiare criptovalute. Nell’ambito di tale attività avrebbe violato le condizioni contrattuali impossessandosi del gruzzolo che gli era stato assegnato, ossia 500mila euro. I soldi erano stati accreditati al 35enne su un portafoglio aperto presso una seconda società con sede a Londra, e posti su un supporto Usb dotato di password nota, pare, solo a lui solo.
Il titolare dell’account nel settembre seguente violando gli accordi avrebbe cambiato gli euro in 585.399 criptovalute Usdt, e se le sarebbe tenute sostenendo che gli era stata rubata la chiavetta. Esaminando l’istanza di consegna alla Germania, la procura generale aveva dato risposta positiva: riteneva infatti che la contestazione per la legge italiana potesse integrare una truffa, quindi il requisito della doppia punibilità della condotta, perseguibile sia in Italia sia in Germania, essenziale per dare corso alla consegna, poteva ritenersi soddisfatta. Al contrario la difesa, rappresentata dall’avvocato Alberto Scapaticci, che già aveva ottenuto la conversione della misura cautelare in obbligo di firma, aveva sostenuto che il reato di infedeltà non fosse previsto dall’ordinamento italiano.
La Corte ha dato ragione al difensore: tale reato non integra in Italia una truffa (“L’artificio, come recita il mandato di arresto europeo, sarebbe stato effettuato al fine coprire la transazione effettuata in violazione degli accordi contrattuali e non costituisce, quindi, parte della condotta punibile”, scrivono i giudici). E nemmeno un’appropriazione indebita, “non perché non sia astrattamente prefigurabile, ma perché nel caso in esame la condotta sarebbe ravvisabile nel mancato versamento della somma, ma non è oggetto della contestazione: la condotta incriminata consisterebbe nell’aver effettuato una transazione violando gli accordi contrattuali (non è chiaro quali siano) da parte di un soggetto incaricato di vendere le criptovalute e che, finché ha eseguito la vendita delle stesse, nessun reato di appropriazione indebita ha compiuto”.