FEDERICA PACELLA
Cronaca

Casapound, altra sconfitta: "Sì alla carta anti-fascista"

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello del movimento di estrema destra. I giudici: il Comune può circoscrivere la concessione di spazi per usi privati.

Casapound, altra sconfitta: "Sì alla carta anti-fascista"

Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello del movimento di estrema destra. I giudici: il Comune può circoscrivere la concessione di spazi per usi privati.

Dichiarazione antifascista per la concessione delle sale comunali: il Consiglio di Stato respinge l’appello di Casapound contro il Comune di Brescia. I fatti risalgono al 2017, quando la Giunta guidata al tempo da Emilio Del Bono aveva stabilito indirizzi per il rilascio di concessioni temporanee per le occupazioni occasionali di spazi e aree pubbliche in città, prevedendo l’obbligo di allegare alla richiesta una dichiarazione in cui il richiedente confermava di riconoscersi in principi e norme della Costituzione italiana e di ripudiare fascismo e nazismo.

Casapound ha fatto prima ricorso al Tar sottolineando che le proprie rimostranze riguardavano solo la parte riguardante il ripudio del fascismo. Il Tribunale amministrativo ha respinto il ricorso, sottolineato che il Comune usa un’endiadi, in quanto "l’adesione ai principi e alle norme costituzionali non è scindibile rispetto al ripudio del fascismo e del nazismo". L’associazione è andata avanti, arrivando fino al Consiglio di Stato che si è espresso nei giorni scorsi confermando la decisione del Tar di Brescia. In particolare, i giudici hanno confermato l’orientamento per cui la concessione di spazi pubblici per usi privati o locali è espressione di una potestà discrezionale, nella definizione di tempi, modi e condizioni dell’occupazione.

Inoltre, il Comune "può perseguire l’obiettivo di evitare che essi vengano utilizzati per il perseguimento delle finalità antidemocratiche proprie del partito fascista": si tratta di un "obiettivo di sicuro interesse pubblico". Rispetto a questa finalità, l’obbligo posto dalla giunta non appare sproporzionato e si fonda sulla "presunzione non irragionevole che chi si rifiuti di ripudiare il fascismo, e quindi mantenga un legame con quell’esperienza, possa poi utilizzare quello spazio per perseguire finalità antidemocratiche". I giudici ricordano che l’urgenza delle linee guida adottate era correlata alla necessità di procedere celermente all’applicazione di quei principi, tenuto conto di episodi e manifestazioni che, in quel periodo, avevano inneggiato e propagandato ideologie naziste, fasciste e razziste.