La movida per le strade di un quartiere crea un danno alla salute per “immissione di rumore” ai suoi residenti, i quali pertanto possono chiedere un risarcimento ai Comuni “che non garantiscono il rispetto delle norme di quiete pubblica e di conseguenza non tutelano la salute dei cittadini”. È questa, in estrema sintesi, la sentenza che la Corte di Cassazione ha pronunciato riguardo a una richiesta di indennizzo intentata da due cittadini di Brescia contro il Comune più di dieci anni fa.
Chi ha fatto causa all’amministrazione bresciana, nel 2012, fu Gianfranco Andreoli, fratello dell’allora sindaco della città Adriano, oggi senatore di Forza Italia. Gianfranco risiede in via Fratelli Bandiera, storica strada del capoluogo bresciano che quasi ogni sera si riempie di giovani e universitari. A causa dei continui schiamazzi ed spazientiti dal perdurare della situazione e dall’assenza di risposte da parte del sindaco, ha deciso insieme a un altro residente di chiedere un risarcimento.
In prima istanza, il tribunale civile lo concesse, obbligando il Comune a versare 50 mila euro ai due residenti esasperati. Il giudice riconobbe l’esistenza di danni biologici e patrimoniali per la movida “a causa del rumore antropico per gli schiamazzi di avventori di alcuni locali che stazionano nei pressi dei plateatici o dei locali su suolo pubblico”. Il Comune fece ricorso a il caso, alla fine, finì in Cassazione.
Oggi, anche la suprema corte ha dato ragione ai residenti. Per i giudici, “la pubblica amministrazione è tenuta ad osservare le regole tecniche o i canoni di diligenza e prudenza nella gestione dei propri beni e, quindi, può essere condannata sia al risarcimento del danno patito dal privato in conseguenza delle immissioni nocive che abbiano comportato la lesione” del diritto alla salute, “ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà”.