Gussago, 12 gennaio 2025 – Professionisti della truffa, come hanno sostenuto gli inquirenti, o persone finite in un giro più grande di loro, come hanno sempre provato a difendersi? La domanda, probabilmente, è destinata a rimanere senza risposta, visto che a breve il sipario sulla vicenda giudiziaria dei coniugi Rossini è destinato a calare per sempre.
La sentenza nei loro confronti – una pena di quattro anni ricevuta con il rito abbreviato – sta per diventare definitiva. A maggio, saldati i conti con la giustizia, Giuseppe Rossini, 47 anni, e la moglie 43enne Silvia Fornari, torneranno liberi. Ma chi sono i rottamai arrestati con l’accusa di aver orchestrato una maxi evasione fiscale, i cui proventi illeciti furono trovati seppelliti nel giardino di casa?
Basso profilo
Giuseppe Rossini, nel momento in cui le attenzione degli investigatori si è concentrata su di lui, era il titolare di una serie di piccolissime aziende che operavano nel settore del recupero e rivendita dei materiali ferrosi. Un comparto occasionalmente soggetto a pratiche opache, adottate per sottrarre i ricavi agli accertamenti del fisco. Quello che fu ideato da Rossini e dalla moglie Silvia Fornari, con la complicità di alcuni familiari (il figlio Emanuele e Marta Fornari, la sorella di Silvia), sarebbe stato un vero e proprio meccanismo di evasione sistematica.
Eppure i due non parevano fare vita nababbi. Anzi, secondo chi li conosceva, all’epoca dei fatti contestati, avevano scelto il basso profilo. Per non prestare il fianco ai sospetti, secondo gli investigatori. Silvia Fornari, per dire, girava con un’utilitaria. E nessuno, nella famiglia, ostentava ricchezza, nella vita quotidiana o sui social network.
La villetta di famiglia a Gussago, fra le “capitali” italiane del commercio di metalli, è rimasta sempre la stessa. Più che dignitosa, con il giardino dei segreti in cui furono scoperti, sotterrati in un terreno incolto che celava un sistema di pozzetti a tenuta stagna, quindici milioni di euro. Ma nulla che richiamasse alla memoria scenari hollywoodiani o, comunque, di estremo lusso. E il parco veicoli? Composto da utilitarie e rimpinguato da biciclette che i Rossini utilizzavano per gli spostamenti di breve durata.
I ruoli nella famiglia
Giuseppe e Silvia, insomma, erano i classici insospettabili. Eppure, sempre secondo gli accertamenti accreditati in buona parte anche dalla loro vicenda giudiziaria, avevano coinvolto nella loro attività di evasione e occultamento denari almeno altri due parenti.
Emanuele, il figlio ventiduenne, avrebbe aiutato la mamma con le consegne di denaro e la fornitura di documenti per le fatture false. La zia Marta, invece, avrebbe dato una mano nella “restituzione del denaro contante ai clienti degli uffici interni”.
Tutto fatto in casa
La coppia, prima di questa indagine, non aveva precedenti, solo qualche piccolo guaio di natura amministrativa. In un cascinale di Gussago – scrissero gli inquirenti negli atti di indagine – era stato allestito un ufficio in cui era stato installato il router per la connessione web con cui le società fittizie bonificavano fiumi di denaro su conti correnti aperti in mezzo mondo.
I quattrini tornavano in Italia grazie all’attività di spalloni – una settantina – incaricati del trasporto contanti. Successivamente i Rossini furono coinvolti anche in un’inchiesta della procura di Vicenza: in questo caso furono accusati di aver gestito i corrieri in un sistema di riciclaggio di denaro al centro del quale ci sarebbero state banche abusive cinesi.