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Qui sopra Laura Zialiani Da sinistra Paola Zani Mirto Milani e Silvia Zani condannati all’ergastolo
BRESCIA – Elementi “insuperabili“, cristallizzati nell’istruttoria di primo grado, che l’impugnazione non riesce a mettere in dubbio: dunque non può che ribadirsi l’ergastolo per tutti e tre. La Corte d’assise d’appello - presidente, Claudio Mazza - in 72 pagine ha chiarito la ragione della conferma della pena massima inflitta lo scorso 22 novembre all’(ex) trio criminale, le sorelle Paola e Silvia Zani e il fidanzato (di entrambe) Mirto Milani, autori dell’omicidio della madre delle imputate, Laura Ziliani.
Era l’8 maggio 2021. La ex vigilessa di Temù fu stordita con una dose massiccia di benzodiazepine nascoste in un muffin, strangolata e poi seppellita lungo il greto dell’Oglio. I corpo riemerse tre mesi dopo per caso, per una piena del fiume. “In concreto si è palesata la consapevole e voluta partecipazione di ciascuno dei prevenuti senza ombra di dubbio, per ogni fattispecie illecita, sia sul piano ideativo, sia esecutivo” si legge nel dispositivo.
“Non vi è mai stato uno sbilanciamento di ruoli tra gli imputati, anche sotto il profilo della reciproca influenza, quindi è inattuabile la richiesta difensiva di modulare il giudizio di responsabilità”. Le difese speravano in una nuova perizia psichiatrica che attestasse un’incapacità di gruppo: “ipotesi assolutamente irricevibile”, visto che per tutti è stata acclarata la capacità di intendere e volere. Il preteso “delirio a tre“, o “disturbo psicotico condiviso“ è “privo di significato giuridico e al più può connotare di maggiore riprovevolezza la scelta consapevole e volontaria degli atti illeciti di ciascuno degli imputati - proseguono i giudici d’appello - il cui accertato concorsuale deve essere soppesato alla luce delle incontestate risultanze investigative e dibattimentali” .
Per la Corte il racconto in aula degli imputati relativi ai presunti tentativi di avvelenamento posti in essere da Ziliani nei loro confronti anziché convincere “si ammanta di un’ombra di ambigua preordinazione”. Quanto alla soppressione del cadavere, i tre “non furono certo mossi nella loro opera tumulativa dall’intento di sottrarre il povero corpo allo scempio degli animali selvatici come da loro dichiarato, ma il loro scopo era la sparizione dello stesso, in linea palese con i depistaggi”.
Le sorelle e Milani hanno provato a smarcarsi dalla premeditazione, ma per i giudici la scena dell’omicidio era già stata “disegnata nella loro mente grazie alla pregressa pianificazione, così come erano state puntualmene attuate le modalità di assopimento della vittima, la scelta del giorno, del luogo del delitto”.