MILLA PRANDELLI
MILLA PRANDELLI
Cronaca

Formaggi di malga e Franciacorta, quando i contrasti si attraggono

La rudezza genuina delle erbe di montagna incontra la raffinatezza delle bollicine (e del vino rosso di collina). Accostamenti d’autore alla cantina Majolini

Formaggi in degustazione

Formaggi in degustazione

La montagna incontra la collina e il risultato è un’armonia che sa di erbe selvatiche, fiori d’alta quota, bollicine raffinate e un rosso strutturato, che ha la dote dei grandi vini.

L’ultimo appuntamento dell’Accademia del Gusto Majolini, ospitato nella suggestiva cantina Majolini di Ome, ha trasformato una serata di degustazione in un vero e proprio viaggio sensoriale lungo l’arco alpino, portando alla memoria prati ricoperti di erica, laghi colore degli smeraldi e malghe incastonate tra boschi e rupi. Tra i protagonisti c’erano, i formaggi di malga di sette regioni italiane – dalla Valle d’Aosta al Friuli – e i vini di Franciacorta, che hanno svelato un’affinità elettiva, quasi predestinata, immaginabile, probabilmente, da pochi: più abituati all’incontro con vini di montagna, nati in microclimi estremi.

Perché, dunque, il latte di montagna sposa alla perfezione il Franciacorta? La risposta è nella natura. Le vacche che pascolano tra i prati alpini si nutrono di un mosaico di erbe e fiori, tra cui l’achillea, l’artemisia, il cardo bianco, la nigritella, la silene e la soldanella, che donano al latte una complessità aromatica unica fatta note erbacee, delicate spezie, che vanno a sposarsi con una cremosità vibrante. Quando questo latte diventa formaggio, porta con sé il respiro della montagna, e trova nel vino Franciacorta Docg di Majolini con la sua freschezza minerale, la sapidità e le sfumature intriganti, il compagno ideale, per andare poi in estasi quando incontra il rosso Majolina – che porta il nome del vitigno autoctono da cui deriva -, ad uso quasi esclusivo dei proprietari, che lo producono in bottiglie magnum: pieno e gagliardo.

La Franciacorta, figlia di colline moreniche e vitigni meticolosi, eleva i formaggi senza sopraffarli: la bollicina pulisce il palato, l’acidità equilibrata scioglie la ricchezza dei grassi, mentre i sentori di crosta di pane tostato e mandorla dialogano con le note terrose dei casari d’alpeggio. Con il rosso crea, semplicemente, gratitudine. Un equilibrio perfetto, quasi alchemico, capace di mandare in estasi i sensi. il vero clou è stato l’incontro tra due mondi apparentemente distanti: la rudezza genuina della malga, la raffinatezza delle bollicine e i profumi del rosso di collina, nato anche grazie a suoli calcarei e argillosi, che donano struttura. Perché in fondo, come in ogni grande storia, sono gli opposti che si attraggono.

“Si può viaggiare a cavalcioni su di un tappeto volante e raccontare il passato, il presente e il futuro, la storia, la geografia e la cultura scrutando dall’alto l’arte casearia dei popoli? – dice il giornalista Riccardo Lagorio – è ciò che ho tentato di fare anche tramite la famiglia Maiolini, raccontando in sala una selezione di formaggi alpini ormai rarissimi e che tra qualche anno potrebbero non esistere più. Mi hanno guidato le infinite costellazioni su tecniche di allevamento e di lavorazione del latte, gli astri del gusto e la stella polare della biodiversità”. Ecco allora giungere in tavola 24 incredibili prodotti, cominciando dall’Agrì di Valtorta, considerato il progenitore del taleggio: un formaggio che pare un pasticcino per la forma e che in bocca crea un vero e proprio concerto di sapori. Unico e non confondibile. In passerella sono saliti prodotti incredibili, difficili da trovare lontano da casa loro, come la toma di pecora brigasca, che nasce sui monti di Albenga in provincia di Savona, in cui mare e cime vanno a incontrarsi, con una particolare nota salata che di certo non passa inosservata. E poi: la Raschera di Cuneo, il Pecorino del Carso e il Graukäse: simbolo caseario della Valle Aurina in Alto Adige, servito con cipolle crude che ne hanno sublimato il sapore, diventato un vero e proprio compagno di danza con il Franciacorta Docg, prodotto con le uve dei vigneti delle colline di Ome: eleganti e spumeggianti, come vestite di trine e merletti.

Cera anche il Salignoun, che è più ricotta che formaggio e che viene dalla Valle d’Aosta: fatto con l’aggiunta di peperoncino, cumino, sale e erbe dei pascoli alpini. Pazzesco. E poi, lo Strachitunt dop bergamasco e il Nostrano Valle Trompia, che rappresenta la più piccola Dop italiana con lo 0,02% sul totale della produzione. Non sono mancati il Taleggio dop, il Casolet, un incredibile Catselmagno dop, il Puzzone di Moena, la Toma di Gressoney, il Murazzano dop e il Morlacco del Grappa, solo per citare qualche nome e portare alla memoria l’immagine di vette vicine e lontane, ognuna con la sua meraviglia.

Un’accoglienza, quella riservata dalla famiglia Maiolini – che ha aperto la cantina nel 1981, ma che vive in questa parte di Franciacorta sin dal XV secolo - che non ha lasciato indifferenti, anche in vista del prossimo appuntamento, che potrebbe esser con cozze Franciacorta: a scrivere una nuova e avvincente storia che, in questo caso, saprà di mare e di vino franciacortino e bresciano.