BEATRICE RASPA
Cronaca

Strage Loveparade, niente giustizia per Giulia Minola: ultimo ricorso bocciato. La mamma: “Potrò solo ricordarla”

Nadia Zanacchi, madre della giovane morta nel 2010 al raduno di Duisburg, ci ha provato fino in fondo: “Davanti a cose simili o finisci in un tunnel di risentimento o volgi l’accaduto in positivo, è sopravvivenza”

T15CCA

Giulia Minola morì a 20 anni il 24 luglio 2010 al raduno di musica techno

«Me lo chiedo anche io. Ci ho messo mesi a elaborare la notizia. Non volevo parlarne. Era l’ultimo appiglio per avere giustizia».

Perché per questo massacro nessuno ha pagato…

«Esattamente. Nessuno pagherà. È finita così».

Che cosa le ha fatto sapere la Corte europea?

«Quattro sintetiche righe in francese, in cui riferisce che non sono stati ravvisati elementi tali da consentire una ripresa della vicenda. Però non ci sono motivazioni chiare. Una grande delusione».

Che idea si è fatta dell’intera gestione del caso?

«Che si voleva finisse in questo modo, con un colpo di spugna. Le autorità tedesche non volevano andare a fondo. Già l’indagine era stata svolta diaciamo rapidamente. Sin dall’inizio ci furono stranezze e omissioni per coprire le responsabilità. Per esempio, da subito la polizia era stata tenuta fuori dall’inchiesta, e il sindaco che aveva concesso l’autorizzazione al concerto in quel posto che poi si è trasformato in una tomba e il principale organizzatore hanno partecipato al processo in qualità di testimoni, non di imputati».

Come andò il processo?

«Nel maggio 2020 i giudici archiviarono dopo un primo tentativo di archiviazione. Il processo si era aperto solo grazie a noi parenti. A dibattimento per omicidio e lesioni c’erano dieci figure ‘minori’, sei funzionari del Comune e quattro dipendenti della società Lopavent, promotrice del Loveparade. La prescrizione era incombente, era esploso il Covid. Il tribunale ritenne che individuare un colpevole preciso fosse impossibile. Preferì non entrare nel merito».

E il ricorso alla Cedu? Imputavate allo Stato tedesco non solo la mancanza di un equo processo ma anche della tutela del diritto fondamentale alla vita dei moltissimi che parteciparono al concerto e non tornarono, giusto?

«Sì. Anche qui ci sono state cose incomprensibili. Fino all’ultimo eravamo fiduciosi, il ricorso aveva passato il primo vaglio di ammissibilità. È stato preso in esame da tre giudici. Non c’era unanimità: due erano favorevoli e uno contrario. Poi di colpo i giudici contrari sono diventati due, quello favorevole uno. Sono cambiate le persone? Hanno cambiato idea? Chi lo sa».

E ora?

«Potrei fare un ultimo ricorso all’Onu ma non penso valga la pena. È meglio che mi concentri sui modi per tenere in vita Giulia, ricordandola, facendo vivere i suoi sogni ad altri giovani».

Dopo la maturità al liceo Calini sua figlia si era iscritta al Politecnico di Milano. Voleva laurearsi in Moda e design, la sua passione insieme ai viaggi e alla musica. Mi racconti delle sue iniziative.

«Tre anni fa abbiamo istituito una borsa di studio al Politecnico per la miglior tesi. Le premiazioni, curate dai docenti di mia figlia, sono dedicate a lei. Organizziamo incontri al Calini, e a fine anno consegnamo il premio al miglior studente dell’indirizzo linguistico, lo stesso di Giulia. Poi c’è il concerto alla Festa di Radio Onda d’urto, e ancora, il palco dedicato alla Festa della musica. Infine c’è il premio per gli studenti di Moda delle università bresciane con la Fondazione Comunità bresciana e il museo Zani».

Lei con la sua determinazione ricorda un po’ il padre di Giulia Cecchettin, sempre propositivo.

«Per forza. Quando ti capitano cose simili o ti infili in un tunnel di risentimento o volgi l’accaduto in positivo. È sopravvivenza».