È la prima provincia a livello nazionale per popolazione suinicola con il 14% di capi allevati. Per questo motivo il bresciano guarda con apprensione quanto sta accadendo in provincia di Pavia. "Il settore si è mosso molto bene - dice Alberto Cavagnini vicepresidente Coldiretti Brescia -, c’è stata una notevole collaborazione tra allevatori, servizio zooprofilattico e veterinari. La peste suina africana ha un’elevata contagiosità e permane a lungo nella carne. Non possiamo permetterci di mettere a repentaglio il settore, quindi come impongono le disposizioni, tutti gli animali sono stati sottoposti a esame biologico prima di essere movimentati per qualunque motivo. Il servizio veterinario è stato messo sotto stress, ma il virus non è entrato".
La peste suina africana non viene trasmessa all’uomo, che può tranquillamente continuare a consumare carni di suino, ma nel caso di un cinghiale trovato positivo al virus le carni non potrebbero essere esportate in Paesi terzi e le esportazioni rappresentano una voce importante nei bilanci delle aziende bresciane. "In una situazione di grande emergenza, il sistema sanitario ha dato risposte puntuali e veloci - prosegue il vicepresidente - proseguiamo il nostro lavoro, rispettiamo la normativa europea che dà precise indicazioni sui comportamenti da tenere nel caso in cui si dovesse trovare un animale selvatico infetto e difendiamo i nostri animali ai quali teniamo moltissimo e non solo, perché sono fonte di reddito". Le parole d’ordine sono biosicurezza da mettere in atto anche con il sostegno della Regione, controlli e rispetto delle norme che, forse in provincia di Pavia non sono state rispettate. "C’è un’inchiesta in corso - fa notare Cavagnini -. Di certo, se un allevatore dovesse perdere un capo a causa delle peste, verrebbe indennizzato, perché allora non dovrebbe tempestivamente dare l’allarme? Non ci sarebbe ragione, tanto più che per quel colpevole ritardo ci rimetterebbero altri capi. A Pavia ci sono stati diversi abbattimenti preventivi".
Se per salvare i loro suini gli allevatori si stanno rimboccando le maniche, non possono fare nulla per i cinghiali che rappresentano il principale vettore di trasmissione della Psa. "Sulla fauna selvatica non controllata c’è stato qualche ritardo".