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— BRESCIA —
ERA LA MATTINA del 2 aprile del 2002, Pasqua era stata celebrata due giorni prima, e alle 10 la porta si spalancò sull’orrore. A Paspardo, 600 abitanti, media Valle Camonica, una madre si trovò di fronte allo strazio più grande.
Il corpo della figlia, era trafitto da 15 coltellate nella camera da letto. I carabinieri, e i sanitari del “118”, arrivarono a Paspardo poco dopo.
Moira Squaratti, ragazza modello, stimata da tutti coloro che la conoscevano era stata accoltellata e strozzata, in un impeto di rabbia che, le difese spiegarono a processo, «per una patologia dell’omicida non poteva essere scisso dal sonno». Tutto era successo nella notte tra il 31 marzo e il 1 aprile.

È POSSIBILE che si sia trattato dell’ennesima discussione tra Moira e il fidanzato, Luigi Marchetti. Ma i motivi non si potranno sapere: anche per questo l’omicida è stato condannato a 14 anni di carcere. Quando le ragioni di un delitto non si conoscono «non possono essere futili», è stato scritto nelle motivazioni della sentenza.
Al processo si sarebbe arrivati circa un anno e mezzo dopo la morte di Moira. Quella mattina c’era il suo corpo nella camera da letto, Luigi Marchetti era sparito e si pensò subito a lui. I carabinieri ci misero poco a scoprire che aveva trascorso il lunedì dell’Angelo al ristorante di famiglia, a Sovere nella bergamasca, e con gli amici la sera. Luigi Marchetti, poi, la notte successiva a quella in cui aveva ucciso, partì con un amico.
«L’ho fatta grossa», confidò a chi non seppe opporsi alla richiesta d’aiuto. L’omicida venne accompagnato in Toscana, s’imbarcò per la Sardegna, attraversò il confine e raggiunse la Francia. A Parigi venne trovato in possesso di documenti falsi, un sacerdote lo convinse a costituirsi. In treno, quindi, da Parigi a Brescia e poi dai legali, Stefano Lojacono e Giuseppe Frigo. Poche ore dopo, in caserma.

LA FAMIGLIA Squaratti non si costituì parte civile. Non volevano nemmeno dare l’impressione d’ aspirare a un risarcimento per la perdita della loro Moira.
Il processo venne celebrato con rito abbreviato davanti al giudice Lorenzo Benini. Il Pm Paolo Savio chiese 30 anni, Benini concesse le attenuanti generiche e ritenne che, non essendoci motivi, non si potevano considerare futili quelli che avevano armato la mano di Marchetti.

LA CONDANNA fu a 14 anni di carcere. Il padre e il fratello di Moira uscirono a testa bassa dall’aula, ma non dissero una parola. Il loro legale giudicò «la pena inadeguata in rapporto al delitto». Nessuno ricorse in appello e anche in quell’occasione i familiari cercarono nella fede la forza per andare avanti.
Mario Pari