BEATRICE RASPA
Cronaca

Nadia Pulvirenti, terapista uccisa a 25 anni da un paziente psichiatrico. Il Pm ora chiede tre condanne

Brescia, è alle battute finali il processo bis per la morte della ragazza accoltellata nel 2017 da Abderrahim El Mouckhtari, 56enne del Marocco affetto da disturbo delirante

Nadia Pulvirenti

Brescia – Due richieste di assoluzione e tre di condanna. È alle battute finali il processo bis per il delitto di Nadia Pulvirenti, la venticinquenne terapista di Castegnato uccisa a coltellate il 24 gennaio 2017 alla Cascina Clarabella di Iseo da un paziente psichiatrico. Concorso colposo in omicidio è l’accusa mossa dalla pm Erica Battaglia ai medici e alla Diogene, la cooperativa per conto della quale Nadia lavorava, a sua volta imputata ai sensi del decreto legge 231 come responsabile amministrativa.

La procura e i parenti della vittima – parti civili con avvocati Michele Bontempi e Melissa Cocca – ritengono la morte della giovane assimilabile a un infortunio sul lavoro, sul quale ha influito la violazione di norme di sicurezza. Ieri in aula la pm ha rassegnato le sue conclusioni al giudice Luca Tringali, chiedendo di assolvere il direttore del Dipartimento di Salute mentale di Iseo Andrea Materzanini, (responsabile del programma di ospitalità leggera alla Clarabella), e il direttore della residenzialità leggera Giorgio Callea.

Ha invece ritenuto responsabili del reato ascritto il referente del centro psicosociale Claudio Vavassori (presidente del Cda di Diogene, datore di lavoro della vittima), per cui ha chiesto quattro anni. Idem la collaboratrice Laura Fogliata, due anni, e la psichiatra Annalisa Guerrini, un anno. Per la procura deve essere applicata una sanzione amministrativa e pecuniaria anche all’ente. Al centro della tesi accusatoria c’è una presunta sottovalutazione collettiva della pericolosità di Abderrahim El Mouckhtari, 56enne del Marocco affetto da disturbo delirante, uscito assolto dal processo principale per incapacità di intendere e di volere.

Non sarebbe stato adeguatamente curato né contenuto, tanto che quel giorno riuscì a impossessarsi di un coltello che poi sferrò contro l’educatrice. Le difese però contrattaccano: "Diogene e Clarabella non passino per realtà superficiali perché è vero il contrario – hanno affermato gli avvocati Paolo Grosso e Fabrizio Ventimiglia, del collegio difensivo –. Quel paziente era in residenzialità leggera perché al culmine di un percorso durato anni era stato ritenuto non pericoloso". A loro dire, si sarebbe insomma trattato di un dramma imprevedibile. Si prosegue il 6 dicembre.