Brescia, 21 agosto 2018 - Sono due comunità in lutto Ospitaletto e Nave. Strette nel dolore, ancora incapaci di spiegare e spiegarsi come possa essersi consumata la tragedia di Manuela Bailo, uccisa a casa dei genitori dell’amante Fabrizio Pasini: una vecchia abitazione all’angolo tra via Dante e via Allende ad Ospitaletto, dove il 48enne è cresciuto con genitori e zii, in un ambiente amorevole e sano. Eppure proprio qui si è consumato qualcosa di terribile. «In questo momento non mi sento di dire nulla – ha commentato ieri mattina la mamma di Manuela, Beatrice Talenti – scelgo il silenzio. È un momento, questo, in cui non vorrei essere disturbata». In mattinata i vicini della ragazza, che abitava in via Barcella 4 in un residence insieme all’ex fidanzato Matteo Sandri, non sapevano ancora nulla. «Apprendiamo quanto accaduto dai cronisti e da internet – ha spiegato la mamma di uno dei dirimpettai – è una tragedia immane. Manuela era una brava ragazza, non meritava questo».
In paese, intanto, nei bar, l’argomento è diventato argomento di discussione e qualcuno ipotizza che forse stesse aspettando un bimbo. «Ultimamente si era arrotondata – ha detto una amica intima – a noi è sembrato fosse in dolce attesa. Se così fosse stato non escluderei che abbia litigato con quell’uomo poiché l’ha messo di fronte alle sue responsabilità. Era una donna seria, anche se si è innamorata dell’uomo sbagliato e di un’altra. L’ultima volta che sono stati visti insieme erano a bere l’aperitivo nel quartiere di Costalunga a Brescia. Sono arrivati con due macchine diverse e sono stati gli ultimi a lasciare il locale. Io non credo fosse una storia finita. Lei comunque era riservata e non mi ha mai detto nulla».
Anche il suo assassino pare non avere mai raccontato nulla agli amici. «La sera del 28 luglio ero con lui – ha raccontato l’amico Ivan, con cui per 20 anni ha giocato a rugby nell’Ospitaletto – siamo stati a mangiare alla festa della squadra. Non mi ha raccontato nulla e non mi è sembrato strano. Era tranquillo. Sono sgomento». Dello stesso parere è il cugino dell’uomo, Roberto. «Noi della famiglia siamo senza parole e davvero straziati da quanto sta accadendo – ha rimarcato – mio cugino non è mai stato una testa calda. Ho lavorato con lui dieci anni alla Gervasoni. Poi è andato alla Sabaf e poi è diventato sindacalista. L’ho sempre considerato un bravo papà e marito».