Brescia, 28 agosto 2018 - Fabrizio Pasini potrebbe avere ucciso Manuela con lucida premeditazione. È l’ipotesi sulla quale lavorano procura e carabinieri, che non solo non credono alla versione dell’incidente resa dal reo confesso («Ci siamo spinti dalle scale durante una lite per un tatuaggio e poi ho perso la testa») ma sospettano un piano preordinato con lucida follia.
Il 48enne di Ospitaletto, sposato e padre di due figli adolescenti, è in carcere con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere, ma le indagini continuano. Alcuni tasselli non trovano ancora una collocazione definitiva. A cominciare dal reale movente, perché anche il gip Giulia Costantino nella convalida del fermo ha giudicato «irrealistiche» le parole dell’ex sindacalista Uil. Troppe discrepanze con l’autopsia, che indicherebbe un taglio netto e profondo alla gola come causa della morte, e con la quantità di sangue refertato tra il garage e il bagnetto, nella casa della madre di lui dove si è compiuto il delitto, mentre le scale risultano del tutto pulite. L'uomo di cui Manuela era innamorata, con cui c’era una controversa relazione («Era finita un anno fa, ci vedevamo da amici» dice lui), per chi indaga ha un doppio volto. Quello del padre dalla vita in apparenza ordinaria, ex rugbysta con l’hobby del soft air e frequentazioni in parrocchia, che due ore prima dell’omicidio scrive messaggi premurosi all’amica-amante mentre di notte è al pronto soccorso con lei per una costola fratturata («Ho quasi finito, stai bene?») in circostanze misteriose. E il gelido dissimulatore: alle sei del mattino, Manuela ormai morta, torna a torso nudo nell’abitazione coniugale, si lava, si infila nel letto ed escogita come far sparire il cadavere.
Tra il 29 e il 30 luglio invia WhatsApp fingendosi la 35enne, si reca in ufficio e insiste per incontrare i colleghi al bar così da informarli di essere caduto e di essersi fratturato una costola, butta il cadavere nel fondo della cascina di Azzanello. Quindi si disfa del cellulare e della borsa della donna in cui c’era qualche cambio d’abito – e forse l’arma del delitto – e infine attende le ferie. Dove si reca con gli stessi pantaloncini e ciabatte indossati quella notte, lavati. «Ho bisogno di relax», riferisce al datore di lavoro, il segretario bresciano della Uil Mario Bailo, il 2 agosto. Con i carabinieri crolla solo al ritorno da Alghero, la sera del 19.