Brescia, 21 novembre 2021 - "In questa vicenda i minuti sono fondamentali. Sessanta secondi in più o in meno fanno la differenza". Le parole del presidente della Corte d’Assise di Brescia, Roberto Spanò, fissano qualcosa che non è una semplice cornice, ma il fulcro del mistero attorno a cui ruota il processo per la scomparsa dell’imprenditore Mario Bozzoli. Unico imputato per omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e distruzione di cadavere il nipote Giacomo, 36 anni, figlio di Adelio, fratello maggiore di Mario e titolare con lui della fonderia di famiglia, a Marcheno. Cosa accade fra le 19 e le 19.30 dell’8 ottobre 2015, quando Mario pare smaterializzarsi? Un grappolo minuscolo di minuti. Un range strettissimo, esiguo. Ma nonostante questo, gli orologi non si sincronizzano.
L’accusa. L’omicidio viene compiuto fra le 19.13 (ultima telefonata di Mario alla moglie che lo attendeva per uscire a cena) e le 19.24. Sono le 19.25 quando Giacomo Bozzoli chiama la compagna che l’aveva chiamato inutilmente varie volte. L’imputato sarebbe poi salito sulla sua Porsche Cayenne per uscire dalla fabbrica alle 19.33, fare ritorno alle 19.43, secondo la sua versione per cambiare un ordine di produzione, e allontanarsi definitivamente alle 19.55. Nell’udienza di martedì Alex, fratello di Giacomo (indagato all’inizio, poi posizione archiviata) ha dichiarato di essere rincasato attorno alle 19 accompagnando il figlio che aveva giocato a calcio. In aula per la prima volta, mappa della fonderia alla mano, aveva fatto il suo racconto ricostruendo gli spostamenti di quella sera. Era uscito dalla sua abitazione, attigua alla fabbrica. Una volta entrato nel magazzino dei pani, aveva visto lo zio entrare, alle 19.15, alla guida di un muletto carico di pani d’ottone che portava in magazzino, e parlato con lui per circa un minuto. Avrebbe visto Mario per l’ultima volta poco prima delle 19.20 dirigersi verso i forni con il muletto vuoto. Alex era uscito dalla fabbrica e aveva scorto il fratello Giacomo sulla sua auto con il motore acceso e la portiera aperta vicino alla pesa, come faceva spesso: erano le 19.23. Giacomo era sceso dall’auto e aveva avuto un rapido scambio di battute con il fratello e con l’autista Graziano Bontacchio. Giacomo si era allontanato dalla fabbrica alla guida dell’auto. Alex non aveva notato nessuna fumata anomala uscire da un forno. Per l’accusa Alex ha spostato in avanti i vari passaggi mantenendoli coerenti nella successione. La sequenza va anticipata invece di circa un quarto d’ora. Come risulta dall’incrocio dei dati e dei video. Come confermato da un operaio e dall’autista. Una tesi e la sua immediata antitesi. La porta, togliendo mattoni al castello dell’accusa, l’operaio senegalese Aboagye Akwasi, detto Abu, presente in fonderia la sera della sparizione di Mario (indagato a sua volta per concorso morale nell’omicidio e archiviato).
Sentito nell’udienza-fiume del 12 ottobre, Abu non ha mostrato tentennamenti: "L’ultima volta che ho visto Mario Bozzoli erano le 19.30. Sono sicuro perché avevo l’orologio sulla ruspa che guidavo in quel momento e anche il cellulare che ho sempre con me". Quindi , se alle 19.30 Mario Bozzoli è ancora vivo e il nipote Alex lascia una prima volta l’azienda alle 19.33, come può quest’ultimo avere agito in soli tre minuti? Da rilevare che l’orario delle 19.30 era stato indicato da Abu già in un primo tempo. Risentito in fase di indagine, l’operaio aveva anticipato l’incontro con il suo datore di lavoro alle 19.15. Un grumo temporale reso ancora più aggrovigliato dal fatto che quella sera gli orari delle telecamere erano avanti di sette minuti, mentre la timbatrice dei dipendenti era avanti di cinque. Nell’udienza del 9 dicembre verrà ascoltato Giacomo Bozzoli.