GABRIELE MORONI
Cronaca

Gettato nella fonderia di famiglia, la Cassazione: ergastolo al nipote. Ma è irreperibile, caccia all’uomo

Il movente del delitto sarebbe il rancore covato verso lo zio Mario Bozzoli: il corpo non è mai stato trovato. Il 39enne Giacomo deve entrare in carcere per l’omicidio. I carabinieri vanno a casa sua, ma lui non c’è

Giacomo Bozzoli, nipote dell’imprenditore sparito, andrà in carcere per la prima volta a nove anni dalla scomparsa dello zio

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Marcheno (Brescia) – I carabinieri non l’hanno trovato. Poche ore prima la Corte di Cassazione aveva confermato l’ergastolo a Giacomo Bozzoli per l’omicidio dello zio Mario nella fonderia di famiglia, la sera dell’8 ottobre 2015, a Marcheno, nel Bresciano. Condanna definitiva che apre le porte del carcere. Bozzoli non era però nella sua casa sulla sponda bresciana del lago di Garda dove ha la residenza. Lì, nella serata di ieri attorno alle otto, si sono presentati i carabinieri che avrebbero dovuto prelevarlo, dopo che la procura di Brescia aveva ricevuto l’estratto della sentenza della Cassazione, atto necessario per poter emettere il provvedimento restrittivo. I militari non hanno trovato nessunoBozzoli viene cercato. Per quello che si sa, sta forse vivendo un momento di confusione, unito al desiderio di godere delle ultime ore di libertà che gli rimangono. A breve potrebbe costituirsi.

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La sentenza

Tre ore di udienza e una camera di consiglio di quasi cinque. Poco prima delle 18 è uscito il dispositivo della sentenza con cui la Suprema Corte ha deciso il rigetto del ricorso della difesa e reso definitivo il carcere a vita, dopo le condanne in primo e in secondo grado a Brescia. La prima sezione penale della Suprema Corte, presieduta da Giuseppe Santalucia, ha accolto la richiesta della procura generale. Bozzoli, 39 anni tra pochi giorni, è stato ritenuto colpevole dell’omicidio dello zio e di averne distrutto il corpo facendolo sparire nel forno grande. Secondo i giudici bresciani ebbe la collaborazione degli operai Oscar Maggi e Giuseppe Ghirardini. Quest’ultimo era scomparso ed era stato ritrovato senza vita, avvelenato da una ’ghianda’ di cianuro a Case di Viso, in Valle Camonica.

Gli elementi che convergono sul nipote secondo l’accusa

Soldi, rapporti familiari logori, rancore che si era trasformato in un vero e proprio sentimento vendicativo. Per il sostituto pg Assunta Cocomello le due sentenze di condanna sono prive di vizi, sotto il profilo sia formale, sia logico. Mario Bozzoli è sicuramente morto ed è morto all’interno della sua azienda. "Le piste alternative sono accreditabili solo nel campo della magia", ha sostenuto l’accusa. Tutti gli elementi di prova convergono su Giacomo Bozzoli. Il luogo e l’ora in cui si trovava: nel reparto forni, tra le 19.15 (dopo la telefonata di Mario alla moglie per avvertirla che si preparava a rincasare) e le 19.18, orario della fumata "anomala" uscita dal forno grande, nel quale sarebbe stato gettato il corpo dell’imprenditore. Lo spostamento delle telecamere interne perché riprendessero un punto "morto" della fabbrica. Il rientro di Giacomo nella fonderia dopo dieci minuti, non per disporre un cambio di produzione ma per completare l’azione e fare scomparire il corpo. Il movente: il rancore lungamente sedimentato da parte del giovane Bozzoli nei confronti dello zio, ripetutamente manifestato insieme con una volontà di eliminazione fisica. Un odio alimentato anche da motivi economici, dalla convinzione che Mario rappresentasse un ostacolo ai suoi progetti imprenditoriali.

La difesa

I difensori, l’avvocato Luigi Frattini e il professor Franco Coppi, avevano chiesto l’annullamento della condanna. Per Coppi (a suo tempo avvocato di Andreotti e Berlusconi) la "doppia conforme" della sentenza non è sinonimo di verità assoluta, ma potrebbe essere un duplice errore. Così come è un errore ritenere che sia la difesa a dover fornire la prova dell’innocenza dell’imputato, quando è invece l’accusa che ne deve provare la colpevolezza. Contestato il cambio d’imputazione avvenuto nelle ultime udienze del processo di primo grado. L’accusa era passata da "ha ucciso lo zio e ha trasportato fuori dall’azienda il cadavere a bordo della sua auto" a "ha ucciso lo zio nel forno della fonderia". La risposta delle sentenze alla domanda dove fossero finiti i resti era stata "non ci sono stati resti". Ma l’esperimento giudiziale con il maialino nella fornace di aveva provato il contrario, dal momento che erano state trovate tracce dell’animale carbonizzato. Manca la prova dell’ipotetico accordo con Oscar Maggi.