FEDERICA PACELLA
Cronaca

Morti sul lavoro, la Spoon River bresciana: ventisei vittime da inizio anno

La provincia è maglia nera degli incidenti. La Cgil: "Giovani e stagionali sono più a rischio perché temono di essere sostituiti". Le ispezioni sono un deterrente, ma manca il personale

Vittime del lavoro, da sinistra in alto: Serpelloni, Poletto, Piermattei, Macukulli, Bertelli, Amicabile, Pasquali, Battagliola, Febbrari, Facchini, Salvini e Fusi

Vittime del lavoro, da sinistra in alto: Serpelloni, Poletto, Piermattei, Macukulli, Bertelli, Amicabile, Pasquali, Battagliola, Febbrari, Facchini, Salvini e Fusi

Brescia – Le regole ci sono e, se applicate correttamente, eviterebbero il 94% degli infortuni gravi, gravissimi e mortali. Eppure, nonostante procedure consolidate, tavoli e proclami, nel Bresciano si contano già 25 infortuni mortali sul lavoro, dato aggiornato al 14 settembre grazie al monitoraggio dell’Osservatorio della Cgil di Brescia, seguito da Antonella Albanese. Sabato, un ulteriore incidente, di un 74enne rimasto schiacciato dal proprio trattore, ha aggiornato l’elenco a 26. Provincia manifatturiera e agricola per eccellenza, ma anche terra di edilizia visti i tanti cantieri piccoli e grandi (dall’alta velocità alle ristrutturazioni per il superbonus) e di centri logistici, Brescia continua a essere funestata da morti bianche: circa 3 morti al mese, a cui andrebbero sommati tutti i casi di infortuni gravi e gravissimi, che portano i lavoratori a invalidità che cambiano la vita di intere famiglie.

La statistica c’entra fino a un certo punto: chiaro, dove ci sono numeri più alti (120mila le imprese registrate alla Camera di Commercio) è anche più probabile che si verifichino infortuni. Ma è altrettanto assodato che quasi mai gli incidenti sul lavoro sono frutto del caso: la maggior parte potrebbe essere evitata se solo si rispettassero le regole già esistenti. Perché ciò non avviene? "La situazione sta peggiorando – sottolinea Albanese – è come se il tempo non fosse passato. Uno degli ultimi morti sul lavoro è un ragazzo di 27 anni (Mirko Serpelloni, ndr ) che è caduto da un lucernario: sono condizioni che si potevano verificare 70 anni fa, non oggi. Siamo in una situazione in cui c’è una corsa sempre più pressante a lavorare, in tutte le condizioni, senza dare dignità al lavoro".

Da una parte ci sono le “prassi”, le abitudini a fare (e far fare) certe operazioni perché “si è sempre fatto così e non è mai accaduto niente”. Dall’altra, c’è il timore di perdere il posto di lavoro se non si accettano modalità di lavoro rischiose. "Qui torniamo al valore del lavoro – evidenzia Albanese – non è un caso se gli infortuni più gravi avvengono tra i giovani o tra dipendenti di ditte in appalto, che sanno che se dovessero rifiutare, verrebbero subito sostituiti. Lo stesso vale per gli stagionali della vendemmia: quando c’è la visita medica, nessuno dice di star male, altrimenti resta a casa. Eppure proprio quest’anno nel Bresciano abbiamo avuto un morto tra i filari. Il problema è a monte, nelle condizioni di lavoro. La tecnologia dovrebbe esser messa non solo al servizio della produzione, per creare algoritmi che definiscono i turni e aiutano a risparmiare, ma dovrebbe essere usata anche per tutelare le risorse umane".

Nel Bresciano, sindacati e associazioni datoriali hanno avviato un dialogo sul tema della sicurezza. Va detto che le aziende più strutturate investono in prevenzione e formazione, ma il tessuto imprenditoriale è costituito in gran parte da piccole realtà, con pochi dipendenti, non iscritte ad associazioni di categoria, dove ancora si fatica a incidere. Il vero deterrente sarebbero i controlli, ma serve personale. A Brescia, lo Psal (Ats) ha visto qualche assunzione dei tecnici di prevenzione, ma un ente come l’Ispettorato nazionale del lavoro è ancora ridotto ai minimi termini.

"Dovrebbero esserci almeno 30 ispettori, come organico, invece sono 6. Anche l’Inail ha pochi medici, c’è solo un ortopedico part-time; scarseggiano pure gli amministrativi. Qui entriamo in un altro problema: la difficoltà a reclutare personale nella Pubblica amministrazione, per effetto del costo della vita". Dopo dieci anni di blocco delle assunzioni, i concorsi ora ci sono. "Ma con gli stipendi previsti, le persone non vengono qui a vivere, perché è tutto troppo caro, o preferiscono il privato, dove l’offerta di lavoro non manca". E la difficoltà di trovare case (non solo per il caro affitti, ma perché gli appartamenti non ci sono, visto che i proprietari preferiscono trasformarli in case vacanze) non agevola la ricerca sul mercato.

Senza controlli, è difficile rompere il circolo vizioso degli infortuni. "È stato dimostrato che solo l’annuncio di una campagna di ispezioni porta subito a una riduzione del 30% di irregolarità, ma deve esserci la certezza del controllo". E se l’economia inizia a rallentare? C’è il rischio che i primi tagli vengano fatti proprio alla sicurezza? "Credo che dopo le parole del presidente Sergio Mattarella sulla vicenda di Brandizzo qualcosa debba per forza cambiare – conclude Albanese -. Cgil, Cisl e Uil hanno scritto una lettera per essere ascoltati. Spero che, oltre all’ascolto, siano presi in considerazione".

Il tema non può essere, però, solo una preoccupazione di sindacati e associazioni di categoria. "È difficile pensare che oggi, nonostante i progressi e le attenzioni che aziende e sindacati riservano al benessere dei propri lavoratori, si debba fare ancora la conta dei morti sul lavoro – commenta il presidente della Provincia, Emanuele Moraschini -. Ventisei vite spezzate da inizio anno sono un dato doloroso, sul quale dobbiamo non solo riflettere, ma anche, e soprattutto, agire. Servono maggiori controlli, un impiego maggiore di personale pubblico, adibito a tale scopo. Occorre fare più prevenzione. Istituzioni, imprese e sindacati devono lavorare in sinergia per evitare il sacrificio anche di una sola vita. La Provincia è a disposizione per organizzare un tavolo di lavoro e di confronto per monitorare questo triste fenomeno e programmare strategie utili e condivise per ridurre i rischi".