Giacomina Ghirardini, una volta di più, non ci sta. Rifiuta. È la più battagliera delle sorelle dell’operaio della fonderia Bozzoli, che si smaterializza cinque giorni dopo la sera dell’8 ottobre 2015, quando Mario Bozzoli, suo datore di lavoro, sparisce per non ricomparire mai più. Beppe Ghirardini viene ritrovato morto in una zona boschiva a Case di Viso, sopra Ponte di Legno, avvelenato da una “ghianda” di cianuro, la seconda che ha ingerito.
«Rimango - dice “Mina” Ghirardini - della mia idea, quella che Beppe non si sia suicidato ma che l’abbiano suicidato. Aveva nello stomaco una capsula di cianuro. Era integra. È stata la seconda a ucciderlo. Se mio fratello avesse voluto morire, avrebbe rotto subito la prima capsula. Adesso lo vedo passare da complice di un omicidio addirittura ad autore. Questo proprio non l’accetto. Beppe non era tutto questo, conoscendolo. Mi auguro che un giorno, molto presto, la verità venga a galla. Per noi sentirlo dipingere così in questi giorni è solo un dolore in più, che si aggiunge a otto anni di dolore. Beppe non era né un assassino né un complice. Non aveva fatto niente, non può essersi suicidato sconvolto dal rimorso per quello che aveva fatto perché non aveva fatto niente. Però era un testimone scomodo. Gli hanno voluto chiudere la bocca. In questi maledetti otto anni mi ha confortato e continua a confortarmi l’abbraccio della gente che mi viene vicino, mi dice che ha conosciuto Beppe e mi invita ad andare avanti".
Secondo la sentenza di primo grado, Beppe Ghirardini "ha agito per conto di un’altra persona"" come provano le banconote rinvenute nella sua disponibilità. Qualcuno che aveva interesse personale all’uccisione di Mario Bozzoli: per i giudici Giacomo, nipote di Mario. La Corte d’Assise d’appello di Brescia ha confermato la condanna del 38enne Giacomo per l’omicidio volontario dello zio aggravato dalla premeditazione e la distruzione del suo cadavere. Dalla prima sentenza è partita la difesa di Giacomo. Di lì è venuta l’ipotesi-domanda portata davanti all’Appello dall’avvocato Luigi Frattini. I 4.400 euro in banconote emesse dalla Banca Centrale Austriaca, trovati nell’abitazione di Ghirardini, erano un prestito ricevuto da Mario Bozzoli. Le dodici telefonate, di cui una sola raccolta, fatte da Mario al suo dipendente, veterano dell’azienda, fra il 6 e il 7 ottobre 2015, alla vigilia della sua scomparsa. I due uomini finalmente di fronte, nella fonderia di Marcheno, la sera dell’8. Mario irritato, contrariato. La reazione di Ghirardini, uomo impulsivo e violento, che lo colpisce.
Giacomo Bozzoli vive la conferma del fine pena mai, incredulo, dice chi lo ha avvicinato. Della serata di venerdì, a Brescia, rimane anche l’immagine di Adelio, il padre di Giacomo, fratello maggiore di Mario Bozzoli, impietrito subito dopo la lettura della sentenza, come stordito, incapace di riprendersi, che alla fine si allontana con passo faticoso. È il giorno dopo anche per Adelio Bozzoli, in casa febbricitante. "È stata - sussurra con voce stanca - una batosta tale che non so come ho fatto ad arrivare a casa. L’altra sera sono andato al cimitero da mia moglie. L’ho ringraziata ugualmente. Si vede che neanche lei ha potuto fare niente. Io non ho parole".