Brescia, 13 febbraio 2021 - La sera del 25 gennaio 2020 Francesca Fantoni è stata pestata, stuprata e strozzata nel parco di Bedizzole. Ieri il delitto della 39enne, invalida al 74% per una forma di oligofrenia, ha tenuto banco in Corte d’assise, dove è iniziato il processo al compaesano Andrea Pavarini, reo confesso, in cella da allora per omicidio pluriaggravato dalla crudeltà e dalle circostanze di tempo e di luogo. Il 34enne giardiniere, padre di un bimbo, avrebbe dovuto essere in aula, invece nel carcere di Pavia è entrato in contatto con un positivo al Covid, quindi ha dovuto assistere in videocollegamento. Un esordio che ha subito rivoluzionato la scaletta dei primi testi. Tra loro, Elisa Fantoni e Milena Alberti, la sorella e la madre di Francesca, che hanno chiesto al presidente, Roberto Spanò, di deporre solo in presenza dell’imputato. «Lo vogliono vedere negli occhi" ha detto l’avvocato Alberto Scapaticci, che rappresenta la famiglia Fantoni.
L’udienza si è divisa tra questioni preliminari, l’escussione dei tre carabinieri e dei gestori cinesi del bar Le Terrazze e il Dreb Cafè. Il comandante del Norm della compagnia di Desenzano, luogotenente Ruggero Sottariva, ha raccontato le fasi dopo la denuncia di scomparsa della mamma di “Kekka“, la mattina del 26 gennaio: "Abbiamo accertato che la sera prima Francesca era stata con amici al bar Le Terrazze. C’era anche Pavarini, e dal bancone la puntava. Alle 20.44 l’ha seguita, è uscito con lei e i due sono stati visti andare verso il parco. Da subito l’abbiamo sospettato: sei mesi prima aveva fatto proposte sessuali esplicite non solo a Francesca, ma anche alla sorella. Lo cercavamo, non rispondeva al telefono. L’abbiamo trovato a casa alle 22 e l’abbiamo portato in caserma dopo aver trovato il telefono della vittima in una fioriera".
A casa di Pavarini, che un perito ha decretato essere affetto da una lieve disabilità ma capace di intendere - ma per l’avvocato Ennio Buffoli, che lo assiste, ci sono delle criticità, soprattutto sul fronte del volere - c’erano una felpa azzurra e pantaloni sporchi di sangue e fango. Gli stessi abiti indossati la sera prima, e notati dai gestori del Dreb Cafè, dove l’imputato si era recato alle 21,30 dopo il delitto per un bicchier d’acqua. Con una mano fratturata, graffiato. Il giardiniere era ancora in caserma quando alle 7,45 del 27 gennaio, in una conca del parco, è stato scoperto il corpo. Sotto un giacca, con ferite al volto, i pantaloni abbassati. Gli slip a pezzi.