Temù (Brescia) -Silvia e Paola Zani , con Mirto Milani, hanno commesso una lunga serie di errori dettati, forse, dalla convinzione di essere in grado di beffare gli investigatori che cercavano Laura Ziliani. Il trio probabilmente era convinto di essere al riparo da ogni sospetto forse ispirato dai vari siti dedicati al crime e al delitto perfetto che Milani aveva consultato. Gli investigatori e gli addetti della Procura di Brescia invece, con il passare del tempo, hanno chiuso il cerchio sulla morte dell’ex vigilessa di Temù arrestando proprio le figlie e il ragazzo lecchese. I tre si sono fatti beffare soprattutto dalla tecnologia, oggi più che mai in grado di tracciare movimenti, presenze nei luoghi e la posizione dei supporti elettronici. Non solo: il terzetto ha parlato troppo sia in auto sia per telefono, nonostante ogni tanto Milani riprendesse le due donne con cui aveva una relazione, zittendole quando entravano nel merito di quanto successo e dicendo loro di farsi vedere il meno possibile in vicolo Ballardini.
Nelle 39 pagine del dispositivo del loro arresto si evincono i vari tentativi di depistaggio, bugie ed errori macroscopici che hanno finito per incastrarli. Erano, invece tre professionisti dell’odio, incanalato contro Laura Ziliani per motivi economici, perché secondo Mirto si permetteva troppi vizi e spendeva troppo. Il primo clamoroso errore è legato al giorno della scomparsa della Ziliani, l’8 maggio. Come ha raccontato chi conosceva la famiglia, le due sorelle erano solite dormire sempre fino a tardi, anche fino a mezzogiorno. Ma, come ha raccontato anche una vicina, l’8 maggio alle 7.10 del mattino erano tutti svegli. Non solo: quella notte erano in casa tutti e tre, mentre Milani, in genere, quando Laura Ziliani era in casa, era solito andarsene. Le figlie hanno anche raccontato di avere visto la madre utilizzare il telefono la mattina, mentre non risulta alcun tipo di traffico dati in quel frangente.
Le figlie hanno anche raccontato di avere trovato il telefono della madre incastrato dietro una panca della taverna. A loro detta si era incastrato probabilmente dopo essere scivolato dalle tasca della donna. In quel punto non c’è segnale telefonico. Eppure l’installazione “Health“, che la Ziliani usava abitualmente, ha contato 38 passi tra le 8 e le 8.20 del mattino. Questo dimostra che il cellulare era acceso e poi è stato messo nel piano interrato. La geolocalizzazione è stata in grado di collocarlo in casa fino alle 9.57, poi si è perso il segnale. È riapparso alle 13.49, quando, a detta delle figlie, era stato ritrovato.
Altri errori macroscopici sono stati fatti durante l’abbandono della scarpa Salomon sul greto del torrente Fiumeclo il 23 maggio, quando la Meriva di Silvia Ziliani è passata sotto l’occhio di diverse telecamere che leggono le targhe in andata e ritorno da Brescia a Temù e il 25, quando la coppia è stata vista abbandonare la seconda scarpa della madre da uno dei testimoni chiave dell’indagine. In quel momento entrambi cercavano di non farsi riconoscere. Pochi giorni dopo si sono liberati di un paio di jeans nel Fiumeclo. Secondo le figlie erano i pantaloni che indossava la madre quando era scomparsa durante una gita in montagna. Ma come ha raccontato anche il compagno della ex vigilessa, lei usava solo indumenti tecnici da montagna quando usciva per una passeggiata in quota.