Brescia, 13 febbraio 2024 – L’omicidio di Mario Bozzoli "è stato commesso in un ristretto ambito spaziale e temporale in cui gravitavano oltre all’imputato solo gli operai Giuseppe Ghiardini e Oscar Maggi". L’imputato di cui si parla è Giacomo Bozzoli, il nipote di Mario, scomparso misteriosamente dalla fonderia di famiglia Marcheno l’8 ottobre 2015. Giacomo, che si è sempre detto innocente, è stato condannato all’ergastolo in primo e in secondo grado. Per la Corte d’assise d’appello - presidente Claudio Mazza, relatore Massimo Vacchiano - alla sua responsabilità "convergono tutti i diversi itinerari probatori che si intendono percorrere", scrivono i giudici nelle 154 pagine delle motivazioni.
Anzitutto converge "la verifica del luogo e dell’ora in cui l’imputato è risultato trovarsi rispetto a quelli in cui si trovava Mario al momento della sparizione". Nel reparto forni, tra le 19.15 (dopo aver chiamato la moglie Irene per dirle che stava per rincasare) e le 19,18, l’orario della fumata anomala partita dal forno grande, nel quale per l’accusa e per la Corte fu gettato l’imprenditore. E poi converge il movente: il nipote è "l’unico in cui è risultato coesistere unitamente all’odio ostinato e incontenibile già molto tempo prima rispetto all’omicidio a sua volta germinato da un rancore altrettanto persistente nei confronti della vittima, anche l’interesse economico a ucciderla , riconducibile a interessi societari e familiari". Mario infatti a suo avviso era colpevole "sia di lucrare dalla società, sia di intralciare i suoi progetti imprenditoriali".
Giacomo inoltre per la Corte era l’unico che "ripetutamente aveva manifestato il desiderio di ucciderlo". E il suo interesse diventerà "impellente" con la consapevolezza che lo zio era "allarmato dalle trame truffaldine intercorse a sua insaputa" tra l’altro ramo della famiglia, quello di Adelio e i figli Giacomo e Alex, e la ditta Bozzoli srl che aveva fatturato 43mila euro per un intervento per un presunto forno danneggiato che però a Marcheno non era mai stato effettuato. Sull’auto di Mario rimasta nel piazzale della fonderia il giorno della scomparsa fu trovata proprio quella fattura, "funzionale alla truffa all’assicurazione".
Non sono un caso per i giudici le telefonate dell’imprenditore in quei giorni all’operaio Giuseppe Ghirardini. Chiamate non risposte. "Stava indagando e scoprendo condotte illecite di Giacomo e suoi parenti a danno della società di Marcheno e in favore di quella (nuova) di Bedizzole", si legge nelle motivazioni. E non è una coincidenza il tentato depistaggio compiuto dagli operai Oscar Maggi e Aboyage Akwasi, "per allontanare la presenza di Mario dal forno al momento della fumata" e favorire Giacomo. Nei confronti del primo la Procura procede per concorso in omicidio, il secondo riponde di favoreggiamento. Anche Alex Bozzoli, il fratello di Giacomo, è sotto indagine (per falsa testimonianza) e l’inchiesta sta per essere chiusa.
Quanto a Ghirardini, la Corte ritiene che "non è dato indivuare altro motivo del suo suicidio se non quello di non sopportare più il rimorso per quanto ha commesso o concorso a commettere". Il suo fu davvero un suicidio “parlante”: le conversazioni intercettate in auto tra Maggi e Akwasi che il 15 ottobre andavano a cercarlo a casa senza trovarlo ("Se Beppo dice qualcosa di sbagliato siamo rovinati") sono di "prepotente rilevanza probatoria". "L’apprensione di Maggi e Abu tradisce il coinvolgimento di Ghirardini e di essi stessi nella scomparsa di Mario".