BETARICE RASPA
Cronaca

Operazione Leonessa, prime ammissioni in attesa dei nomi eccellenti

L’inchiesta ha fatto finire in carcere 17 persone per associazione mafiosa, 15 per frode fiscale, 18 per corruzione e reati contro la pubblica amministrazione, 27 per reati tributari

La conferenza stampa in Procura a Brescia sull'inchiesta

La conferenza stampa in Procura a Brescia sull'inchiesta

Brescia, 1 ottobre 2019 - E dopo il finanziere Liguoro, anche il collega Pavone ha deciso di collaborare con la giustizia. Nuove ammissioni nelle scorse ore durante gli interrogatori di garanzia per i 69 arrestati dell’inchiesta «monstre» Leonessa, che giovedì ha fatto finire in carcere 17 persone per associazione mafiosa, 15 per frode fiscale, 18 per corruzione e reati contro la pubblica amministrazione, 27 per reati tributari. Ieri, ultimo giorno utile per rispettare il termine dei cinque giorni, si sono conclusi gli interrogatori svolti in contemporanea in più carceri, da Verona a Mantova passando per Cremona, dove sono rinchiusi i destinatari della misure cautelari. Dal filone investigativo che ha smantellato una presunta cosca della Stidda di ispirazione gelese ma naturalizzata bresciana – il presunto boss, il 33enne catanese Rosario Marchese trapiantato a Lonato, ha rigettato la taccia di mafioso ammettendo solo i reati finanziari - ne sono scaturiti altri due incentrati su corruzione, frodi fiscali e fatture false. Fascicoli avviati indagando il business cavalcato dalla nuova mafia in giacca e cravatta, che offre montagne di crediti d’imposta fittizi generati da società cartiere agli imprenditori che evadono le tasse con il giochetto delle compensazioni, è la tesi del procuratore Carlo Nocerino e del pm della Dda Paolo Savio sposata dal gip, Carlo Bianchetti. Anello di congiunzione sarebbero alcuni professionisti. Come il commercialista bresciano Mauro Rigamonti, che risponde di più reati, dalla corruzione alle frodi. Detenuto a Verona, ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere. Avrebbe invece collaborato ammettendo le proprie responsabilità l’ex vicecomandante della Finanza di Pisogne, Antonio Pavone, in cella a Mantova per presunti controlli ammorbiditi, così come prima di lui aveva fatto il collega in servizio a Brescia maresciallo Francesco Liguoro, a Canton Mombello. I finanzieri sono stati arrestati con il direttore dell’Agenzia delle Entrate Generoso Biondi e il funzionario del Fisco Alessandro Di Domenico per, a vario titolo, corruzione, abuso d’ufficio, induzione indebita e traffico di influenze illecite.

Stando all’accusa Liguoro nella primavera 2018 si sarebbe spartito con Di Domenico e Biondi una tangente da 65mila euro allungata dall’imprenditore Giovanni Fervorari (pure in cella a Brescia), titolare di un’azienda di Rodengo del settore rottami, per farsi ridurre una cartella esattoriale da 20 a 1 milione di euro. Anche Fervorari avrebbe parlato, così come Di Domenico avrebbe dato una sua versione con dichiarazioni spontanee, mentre Biondi, tirato in causa solo da intercettazioni di terzi, ha negato di aver mai preso un euro. Biondi risponde anche di un paio di episodi di abuso per avere chiesto a dei sottoposti «favori» (per esempio, la cancellazione del canone Rai della figlia). La mazzetta, la cena pagata, favori e regali – anche piccoli e reiterati – costituivano per il gruppo «condotte abituali a tal punto da essere diventate uno stile di vita», scrive il gip. Oggi Nocerino interrogherà alcuni detenuti «eccellenti» per corruzione. A cominciare da Liguoro.