Brescia, 9 giugno 2019 - Sono stati assolti i tre chirurghi dell’équipe di Urologia della Poliambulanza di Brescia finiti sotto processo per la morte di un paziente, che non uscì vivo da un intervento chirurgico di asportazione di un tumore al rene. Lorenzo Tomarchio, cinquantanovenne di Trenzano, tre volte padre e tre volte nonno, morì alla vigilia del Capodanno 2016 per uno choc emorragico causato dalla rottura accidentale di un’arteria mesenterica superiore in sala operatoria. Era il 29 dicembre 2015. Da subito i figli e la moglie della vittima chiesero un’indagine per vederci chiaro, perché per la famiglia il passaggio sotto i ferri fu troppo frettoloso e poteva essere evitato a favore di altre terapie meno invasive. Il pm Carlo Pappalardo aprì un’inchiesta e inizialmente mise sotto la lente otto medici dell’ospedale bresciano, sei urologi e due anestesisti. Solo per tre chirurghi tuttavia è stato chiesto il processo, mentre le altre posizioni sono state archiviate.
A provocare la rottura dell’arteria, ha sostenuto in aula l’accusa, sono stati i chirurghi, chiamati a rispondere di omicidio colposo dovuto a "imperizia" e "negligenza". Per gli imputati erano stati chiesti otto mesi di carcere. Secondo la consulenza del pm eseguita dai professori Vito Cirelli e Giulio Mazzilli infatti prima di operare il paziente avrebbero dovuto procedere con altri accertamenti, indagare meglio la massa tumorale di oltre un chilo che aggrediva Tomarchio ed essere più accorti.
"Durante l’intervento il gruppo non era coadiuvato dallo staff di chirurghi vascolari (arrivati in sala solo due ore dopo la lesione) – conclusero gli esperti - e la Tac eseguita il giorno prima aveva ben evidenziato la probabile assenza di sicuri piani di clivaggio con l’aorta". Il rischio insomma era prevedibile ed evitabile. Di avviso opposto invece la difesa, rappresentata dall’avvocato Eustacchio Porreca.
Il legale durante la sua arringa ha sottolineato come la situazione del paziente fosse troppo compromessa per imputare la colpa dell’esito di quell’intervento delicato ai medici, che misero in atto tutto il possibile per salvarlo. Nei loro confronti la famiglia Tomarchio, ottenuto un risarcimento dalla Fondazione Poliambulanza, ha ritirato la costituzione di parte civile. E il giudice Lucia Paoloni li ha assolti.