di Beatrice Raspa
Dopo le polemiche, la reazione. La procura di Brescia “scarica“ il pm che ha chiesto l’assoluzione del marito originario del Bangladesh accusato di maltrattamenti e violenza nei confronti dell’ex moglie. Riferendosi alle parole del pm Antonio Bassolino, il procuratore capo Francesco Prete ha spiegato che "in base alle norme del codice di procedura penale" nell’udienza il pm "esercita le sue funzioni con piena autonomia" e queste "non possono essere attribuite all’ufficio nella sua interezza ma solo al magistrato che svolge le funzioni in udienza". E ancora: "Questa procura della Repubblica ripudia qualunque forma di relativismo giuridico, non ammette scriminanti estranee alla nostra legge, ed è sempre stata fermissima nel perseguire la violenza, morale e materiale, di chiunque, a prescindere da qualsiasi riferimento culturale", nei confronti delle donne. Quanto alle ispezioni ministeriali invocate da più parti, è una prospettiva che "ci lascia assolutamente tranquilli, essendo tutti i magistrati dell’ufficio sicuri di avere sempre agito nel rispetto della legalità". Sulla vicenda si è pronunciato anche il ministro Nordio, che ha sottolineato: "La legge è uguale per tutti, e l’ignoranza non va scusata. Chi entra sa che deve conformarsi al diritto penale italiano. Da noi è reato picchiare la moglie. Qualsiasi sia la ragione".
La protagonista di questa storia è una 26enne del Bangladesh, mamma di due bambine, che nel 2019, dopo sei anni di presunte vessazioni ha denunciato l’uomo che era stata costretta a sposare. Un cugino a cui fu venduta, e che a suo dire l’avrebbe chiusa in casa, obbligata al sesso e a vestire abiti tradizionali, trattandola da “schiava“. Lei, in Italia da quando aveva 4 anni. Il procedimento si era già incagliato in una richiesta di archiviazione, ma è ripartito grazie a un’imputazione coatta. Ora è a dibattimento. E dopo una disamina dei capi d’accusa – maltrattamenti e violenza sessuale aggravata dall’uso di narcotici o droghe – il pm ha anticipato alle parti le sue valutazioni, non ritenendo le imputazioni fondate. La prima non sussisterebbe, la seconda non sarebbe corroborata da prove sufficienti se non dal racconto della donna, "confusionario". L’unico episodio di violenza accertata in un arco di sei anni pare essere uno schiaffo nell’agosto 2019. Per il resto, difetterebbe l’abitualità delle condotte, presupposto del reato di maltrattamenti.
Si sarebbe insomma trattato di singoli “episodi“ maturati, secondo quanto scritto dal pm, "in un contesto culturale della comunità di riferimento, che sebbene inizialmente accettato dalla parte offesa, si è rivelato per costei nei fatti intollerabile proprio perché cresciuta in Italia, con la consapevolezza dei diritti che le appartengono". Consapevolezza che l’ha condotta "a interrompere il rapporto per conformare la sua esistenza a canoni marcatamente occidentali". E ancora: "I contegni di compressione delle libertà morali e materiali della donna da parte dell’imputato sono il frutto dell’impianto culturale, e non della sua coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge".