Brescia – In occasione del cinquantesimo della strage di piazza della Loggia il presidente della Repubblica Mattarella in visita a Brescia aveva espresso un auspicio chiaro: il processo ai due presunti esecutori materiali dell’attentato del 28 maggio 1974, otto vittime e oltre cento feriti, entrambi già aperti, è importante che si concludano in tempi rapidi. Il problema è che il giudizio a Roberto Zorzi, settantenne veronese ex militante di Ordine nuovo, rimane al palo, impantanato tra carenze di organico e questioni preliminari. Una situazione beffarda, che va a complicare l’accertamento della verità, già di per sé miracoloso a cinquant’anni dai fatti.
Ieri, terza udienza in Assise, il presidente Roberto Spanò ha dichiarato sconsolato: "Nonostante appelli e promesse il calcolo delle presenze è persino peggiorato. Avanti di questo passo e chiudere entro l’estate 2025 diventa difficile, anche se continueremo a fare il possibile”. Il presidente ha citato una nota diffusa dal Tribunale di Brescia a luglio, nella quale si dichiarava la risoluzione dell’emergenza grazie all’assegnazione di nuovi magistrati alla prima sezione penale, ingolfata dall’ondata delle sopravvenienze ordinarie da “codice rosso" e non solo.
"In realtà una giudice si è trasferita, un’altra sarà in maternità fino all’estate prossima – ha dichiarato Spanò –. E con me quella nota non è stata condivisa”. Risultato: al momento celebrare più di un’udienza al mese diventa impossibile, tanto che da qui a fine anno ne sono state calendarizzate solo tre. “Così non va bene – si è stretto nelle spalle Manlio Milani, il presidente dei familiari delle vittime, presenza fissa nelle aule ai procedimenti sulla strage (e quello a Zorzi è il 17esimo, ndr) –. Perché il Csm non manda i rinforzi? Noi parti civili ci faremo sentire. La deposizione di alcuni testi è delicata, tale da impegnare più udienze. Rinvii lunghi rischiano di rendere difficoltosa la comprensione dei fatti alla Corte”.
Non a caso ieri c’è stato un altro rinvio per disporre di un’udienza intera. Era in agenda il primo superteste dell’accusa, l’ex comandante del Ros dei carabinieri Massimo Giraudo. Investigatore di punta della Procura, il colonnello ha già deposto nei mesi scorsi davanti al Tribunale dei minori dove è in corso il processo al secondo presunto esecutore materiale della strage, il veronese Marco Toffaloni, allora sedicenne. Ieri avrebbe dovuto rispondere alle domande dell’aggiunto Silvio Bonfigli e della pm Caty Bressanelli ma non se n’è fatto nulla: riconvocato il 22 ottobre. Per quasi cinque ore infatti in aula sono andate di nuovo in scena le schermaglie a colpi di questioni preliminari. La difesa di Zorzi, con gli avvocati Stefano Casali e Edoardo Lana, ha provato a sollevare profili di incostituzionalità del rinvio a giudizio dell’imputato per una mancata definizione di un’inchiesta del 2015 (assorbita in un’altra nel 2017 e infine in una terza, nel 2020, senza vaglio del gip) e per una presunta deposizione tardiva dei verbali di sit di ‘Lady Golpe’-Donatella di Rosa (citata dalla difesa) escussa da Giraudo. Questioni per Spanò “infondate".
Poi la parola è passata all’accusa, che ha ottenuto l’acquisizione della sentenza di condanna di Paolo Bellini (strage di Bologna), dei verbali dei sopralluoghi della pg alla caserma dei carabinieri di Verona e in un appartamento di Brescia e delle sit di Stefano Romanelli e Roberto Zamboni, testi deceduti. Insomma, punto e a capo.