
Le stanze per i "colloqui intimi" costituiscono uno dei problemi principali (ANSA)
BRESCIA – Due ore di tempo, biancheria e lenzuola a carico del partner che deve portarle da casa, pulizie e sanificazione post colloquio, mentre i locali individuati dai provveditori dovranno essere dotati di una camera arredata con un letto e con annessi servizi igienici.
Ad una lettura soprattutto esterna alle mura del carcere, le linee guida del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) per permettere alle persone detenute di esercitare il loro diritto all’affettività e alla sessualità, possono creare qualche perplessità. Ma tant’è: le si aspettava da gennaio 2024, da quando cioè la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittimo il divieto assoluto, fino ad allora in vigore, all’affettività in carcere, imponendo il controllo a vista sui detenuti durante i colloqui con i loro coniugi o conviventi.
“Per come sono scritte – commenta la garante delle persone private della libertà del Comune di Brescia, Luisa Ravagnani – possono sembrare svilenti, perché sembra che si parli di camere dell’amore. Bene che ci siano, perché è comunque il riconoscimento di un diritto, l’importante è che siano declinate ovunque in modo dignitoso. I detenuti a Brescia hanno offerto una bella chiave di lettura. C’è chi ha detto che sarebbe sufficiente avere la possibilità di stare abbracciato con la moglie o la compagna per due ore e, se questa stanza, può garantire questo, ben venga. I detenuti riescono a vederci una prospettiva, un minimo di privacy, che oggi non c’è”.

Si è ben lontani dalle casette nel bosco, all’interno delle mura dei penitenziari norvegesi, in cui i detenuti possono trascorrere la giornata con la famiglia, ma si guarda il bicchiere mezzo pieno.
Ma gli istituti bresciani hanno gli spazi per realizzare queste stanze dell’affettività? “Nel momento in cui ci sono le linee guida, gli istituti devono adattarsi e sono sicura che lo faranno nel modo più scrupoloso possibile, come sempre accade a Brescia – sottolinea Ravagnani –. Il punto vero è nella tempistica e nella modalità, perché i nostri istituti non potranno tirar fuori dal cilindro spazi che non ci sono, se non sulla carta”.
L’importante è che l’applicazione di un diritto non si riduca a macchietta, a una “stanza ad ore“ che in realtà non fa altro che accrescere lo stigma. “Non arriveremo mai alla prospettiva norvegese della casetta nel bosco, che fa certamente meno sensazione. Non è una cosa a cui possiamo aspirare, ma, per come i detenuti sono stati in grado di leggere questa stanza, può essere comunque un passo avanti”.