"Gaudete, habemus verba!". Un pizzico di ironia quella usata da Paolo Zampiceni, presidente bresciano di Autismando, per accompagnare la comunicazione che, dopo la nota 1921 del 24 ottobre scorso, le scuole (ma tutta la pubblica amministrazione in generale) dovranno rivedere le parole usate nei propri atti e procedure, in base al decreto legislativo 62 del 2024, e sostituire “handicap” con “condizione di disabilità”, così come “persona handicappata” o “diversamente abile” con “persona con disabilità”. Al posto di “disabile grave”, poi, bisognerà parlare di “persona con necessità di sostegno intensivo”.
"Continueranno a mancare gli insegnanti di sostegno, proseguirà il mercato delle ore di insegnante o di assistente per l’autonomia, continueranno ad essere presenti figure dalla dubbia qualifica, continueranno le richieste di tenere i nostri figli a casa o non farli partecipare a uscite o gite scolastiche perché manca l’insegnante o l’assistente o entrambi, ma i nostri figli, per la scuola, saranno “persone con disabilità” o “persone con necessità di sostegno intensivo”. Non ne siete felici?", la domanda (retorica) rivolta agli altri genitori.
"Sia chiaro – spiega – va benissimo, la linguistica insegna che qualsiasi oggetto acquista determinati significati rispetto a quello che viene denominato e che non esistete niente che non abbia avuto prima una denominazione. Quindi ben venga, anche nell’ambito dell’autismo si discuta se la definizione corretta sia “persone con autismo” o “persone autistiche”. Detto questo, giusto 20 giorni fa ho ricevuto la telefonata di una mamma con il figlio di 5, 6 anni, che è in lista d’attesa da 3 anni per un noto centro abilitativo bresciano. Se è vero che il trattamento dell’autismo dovrebbe essere il più possibile intensivo e precoce, come si fa a realizzarlo quando ci sono almeno tre anni di lista d’attesa?".
Le priorità sono altre: docenti di sostegno formati, tempi rapidi di accesso ai trattamenti, abbattimento delle barriere non solo fisiche, ma anche per le disabilità intellettive. Molte famiglie si rivolgono ai tribunali per vedersi riconosciuti i diritti. "La via giudiziaria è lecita, ma è difficile pensare di consigliarla come approccio alla generalità delle famiglie – sottolinea Zampiceni –, perché ci sono costi, difficoltà, anche se poi in genere i tribunali danno ragione alle famiglie. Mi vien male a pensare che la tutela debba passare da lì. Possibile che il sistema pubblico non si sia posto il problema di mettere correttivi?". Le norme ci sono: la legislazione italiana sulla disabilità è anzi diventata famosa in tutta Europa, nel mondo, come una delle più avanzate e tutelanti. "Il problema è il divario tra le norme e quello che poi si verifica nell’esperienza quotidiana, uno scarto tra dimensione formale e sostanziale. Bene che mio figlio non sia più “handicappato”, ma “persona disabile con necessità di sostegni importanti”, ma come si sostanzia tutto questo?"