
La deposizione di Ombretta Giacomazzi
Brescia – Lei c’era. Ma ha raccontato la verità solo 40 anni dopo. «Ancora ho paura, girano persone cattive. Temo Nando Ferrari (referente del Fronte della gioventù di Brescia negli anni ‘70)». Ombretta Giacomazzi nel ’74 aveva 17 anni. Era la fidanzata di Silvio Ferrari, neofascista bresciano che faceva la “spia“ per le forze dell’ordine, saltato per aria la sera del 19 maggio in piazza Mercato per un bomba esplosa mentre la trasportava in Vespa al locale Blue Note. C’è tutto nella deposizione in Assise della superteste che ha fatto finire sul banco degli imputati, presunti esecutori materiali della strage di piazza Loggia, gli ex ordinovisti veronesi Marco Toffaloni (condannato a 30 anni dal tribunale dei minori) e Roberto Zorzi, a processo. Giacomazzi lavorava alla pizzeria Ariston dei genitori in viale Venezia, all’epoca frequentata dai “neri“. Seguiva il fidanzato e fu testimone di incontri nella caserma dei carabinieri di Parona e a palazzo Carli, a Verona, sede della Nato/Ftase, tra alti ufficiali ed estremisti. Attendeva fuori, ma sa.
«C’erano il capitano dei carabinieri Francesco Delfino con il braccio destro Sandrini, Pignatelli del Sid, Toffaloni. Parlavano della bomba al Blue note. Silvio di quelle riunioni aveva foto che stampava nella mansarda in via Aleardi. Un posto frequentato da carabinieri in borghese, tra cui Delfino, dove riceveva buste con documenti e soldi».
Nelle parole della teste il sequestro del suocero Giuseppe Soffiantini nel 1997, che fece finire nei guai Delfino, colui che «aveva potere totale sulla mia libertà». «Ne ho avuto paura finché era in vita» ha ammesso la 69enne rispondendo alla pm Caty Bressanelli. Sguardo fisso, lucida, veloce nei riconoscimenti fotografici. Emozione nella voce. «Zorzi? Lo vedevo in pizzeria. Veniva con una Dyane celestina. Ferrari mi suggerì di non parlar mai di quell’auto per stare fuori dai casini». Giacomazzi ricorda Zorzi all’Ariston la sera della morte del fidanzato: «Era sabato, con Silvio c’erano Nando, Arturo Gussago, Toffaloni e Siliotti. Un tavolo di bresciani, uno di veronesi. Nando scuoteva Silvio, tutti lo incitavano a fare quello che doveva (la bomba, ndr) ma non voleva più».
Dopo la sua morte, prima della strage, Giacomazzi rivide in pizzeria veronesi e bresciani,insieme: «Discutevano di vendicare Silvio. Zorzi diceva: quello che non ha fatto lui lo faremo noi». Allarmata, la giovane il giorno seguente chiamò Sandrini: «Mi chiese di non parlarne con nessuno. Ho collegato quel discorso in pizzeria solo più tardi, quando Sandrini mi richiamò, mi portò in un bosco di Bedizzole e mi intimò di non nominare l’incontro, né che lo avevo avvertito». Giacomazzi scuote la testa: «Non ho mai potuto parlare. Delfino mi fece arrestare per falsa testimonianza e reticenza. Feci il carcere. Minacciava di incriminarmi di concorso in strage se avessi nominato i veronesi. Voleva che facessi il nome di Andrea Arcai e del mio ex, Gussago. Sono stata stupida a non dire subito la verità. Ho rabbia».