Brescia – Buona la quarta. Dopo tre convocazioni a vuoto (e un accompagnamento coatto) ieri Lady Golpe si è palesata. E si è fatta interrogare dal Tribunale dei minori nell’ambito del processo a Marco Toffaloni, l’ex ordinovista veronese accusato di essere uno dei presunti esecutori della strage di piazza Loggia. Non è venuta in aula ma c’era: in videocollegamento da Roma. Nelle sue lettere scritte nelle scorse settimane al presidente, Federico Allegri, prometteva colpi di scena. Invece a quanto si è appreso non si è verificato nulla di tutto questo. Citata dalla difesa, Lady Golpe, al secolo Donatella Di Rosa, 65 anni, era già balzata agli onori delle cronache negli anni ‘90 per le sue rivelazioni - poi ritenute infondate - su un presunto colpo di Stato tramato da alti ufficiali italiani, tra cui l’ex marito e l’amante. Una vicenda che le costò una condanna e il carcere.
La chiacchierata donna dei misteri è tornata in auge quando il generale dei carabinieri del Ros, Massimo Giraudo, la sentì indagando sulla bomba di Brescia. Lady Golpe mesi fa accusò il superinvestigatore della Procura di averla tampinata con messaggi e video osé, e di averle fatto pressioni per ottenere risposte pilotate, avanzando il sospetto che il medesimo atteggiamento manipolatorio Giraudo lo avesse tenuto pure con con la teste chiave di questo processo, Ombretta Giacomazzi.
In realtà ieri Lady Golpe ha ridimensionato le accuse. "Non ho mai avuto pressioni da Giraudo. Mio figlio è sempre stato presente ai quattro interrogatori. E mai mi è stata nominata Giacomazzi. Della strage di piazza Loggia io non sapevo nulla, se non quello che leggevo sui giornali” ha dichiarato Di Rosa, sostenendo che il generale le avesse fatto domande su altri personaggi, tra cui i neofascisti Giovanni Nardi e Paolo Bellini. In ogni caso, assistita dall’avvocato Baldassarre Lauria (che già si è occupato della richiesta di revisione dell’ergastolo di Maurizio Tramonte, l’ex spia del Sid condannata per la strage), Di Rosa ha denunciato il generale di molestie telefoniche. La Procura romana non era mai riuscita ad avere i suoi smartphone. Anche perché Di Rosa, al centro di una vicenda di sfratti, non si sapeva dove fosse. È stata rintracciata da poco, dopo la richiesta di accompagnamento coatto emessa da Brescia.