Milano, 2 luglio 2015 - «Ergastolo per Carlo Maria Maggi e Maurizio Tramonte». Arriva dopo cinque ore di requisitoria la richiesta di pena del sostituto procuratore generale Maria Grazia Omboni al processo d’appello-bis per la bomba esplosa in piazza della Loggia a Brescia, otto morti e un centinaio di feriti il 28 maggio del 1974. «Cerchiamo ancora giustizia non solo per i familiari delle vittime, ma per tutti i cittadini di questo Paese», aveva esordito il magistrato in mattinata davanti alla Corte presieduta da Anna Conforti. Nessuno degli imputati era in aula ad ascoltarla. Non Maggi, medico 80enne ex leader neonazista di Ordine nuovo per tutto il Triveneto, in precarie condizioni fisiche, né Tramonte, all’epoca dei fatti giovane attivista dell’ultradestra ma anche collaboratore dei servizi segreti, nome in codice Tritone, che invece si era fatto vedere tra i banchi all’udienza di martedì. Sono gli unici due rimasti a giudizio - in questo dodicesimo processo nato dalla terza istruttoria sulla strage ancora senza colpevoli - dopo che la Cassazione un anno fa aveva sancito la definitiva uscita di scena dell’ordinovista Delfo Zorzi (già assolto anche per Piazza Fontana), dell’ex capitano dei carababinieri Francesco Delfino e dell’ex leader nazionale di Ordine nuovo Pino Rauti.
Per Maggi e Tramonte, invece, la Suprema Corte ordinò la ripetizione del processo d’appello che aveva mandato entrambi assolti, valutando in particolare per il medico neonazista «ingiustificabili e superficiali» le conclusioni assolutorie nonostante la «gravità indiziaria» delle dichiarazioni di un pentito nei suoi confronti, che unite ad altri elementi finirebbero per fornire invece, secondo i giudici romani, una «visione complessiva» di «straordinaria capacità dimostrativa» delle accuse. Su questa strada già segnata dalla Cassazione, il pg Omboni ha aggiunto, alla luce delle testimonianze raccolte nel nuovo dibattimento, la recuperata credibilità del pentito nero Carlo Digilio, armiere ed esperto di esplosivi del gruppo, l’uomo che avrebbe procurato la gelignite effettivamente usata per la strage proprio su mandato di Maggi, accusato di essere l’ideatore dell’attentato.
Quanto a Tramonte, per lui l’accusa è di aver partecipato a tutta la fase di preparazione dell’attentato, compresa la riunione decisiva ad Abano Terme, pochi giorni prima, senza mai avvertire i suoi referenti nei servizi segreti di quanto si andava organizzando. In più, come hanno confermato alcuni suoi ex compagni di cella riferendo le confidenze da lui ricevute, e come il pg Omboni ha dunque ricordato, «la mattina della strage Tramonte era in piazza della Loggia». Ora la parola passerà alle parti civili e poi ai difensori degli imputati, mentre la sentenza è attesa entro fine luglio.
«Se dal nuovo dibattimento dovesse uscire un verdetto di colpevolezza, quello avrebbe valore morale anche per Piazza Fontana», ripete da tempo l’avvocato Federico Sinicato, storico legale di parte civile per i familiari delle vittime di stragi. Sarebbe una specie di riabilitazione postuma per la credibilità del pentito nero Digilio, che accusava Maggi di entrambe le stragi e che per Milano non è stato creduto. Se ora Digilio venisse ritenuto attendibile per Piazza della Loggia, «un’eventuale condanna a Brescia del dottor Maggi o di Tramonte - conclude Sinicato - potrebbe spingere la procura milanesea riaprire il fascicolo sulla Banca nazionale dell’Agricoltura». Alla caccia di altri eventuali complici finora mai individuati. Per Brescia, nel frattempo, resta aperta anche l’inchiesta della procura dei minori nei confronti di Marco Toffaloni, veronese, all’epoca diciassettenne vicino all’estrema destra, accusato di concorso in strage. Stando a un pentito “nero”, anche Toffaloni sarebbe stato in piazza Loggia la mattina del 28 maggio ’74, come dimostrerebbero alcune foto trovate di recente durante perquisizioni dei carabinieri del Ros a casa di parenti dell’ex minorenne (oggi ha 41 anni). Lui, indagato, finora si è avvalso della facoltà di non rispondere.