BEATRICE RASPA
Cronaca

Strage di Piazza della Loggia, la Svizzera non consegna il presunto esecutore Toffaloni: “Da noi il reato è prescritto”

L’allora sedicenne estremista di destra alla sbarra come presunto esecutore materiale. La Corte aveva chiesto la consegna. Ma le autorità elvetiche dicono no: “Ora è uomo libero”

Strage di Piazza della Loggia

Marco Toffaloni oggi è diventato Franco Maria Muller ed è cittadino svizzero. Nelle prossime udienze si discuterà anche della foto che secondo i periti lo ritrae in piazza nel giorno dell’esplosione

Marco Toffaloni? Le autorità svizzere non intendono cercarlo, nemmeno se a chiederlo è la giustizia italiana. Non lo ritengono necessario, essendo il 67enne ex ordinovista veronese, da anni cittadino elvetico, un uomo libero. In più, fanno sapere, anche qualora le cose stessero diversamente, non lo farebbero comunque, giacché il reato di strage per cui si procede a distanza di 50 anni dai fatti nell’ordinamento svizzero è prescritto. È, in buona sostanza, quanto si è sentito rispondere nei giorni scorsi dalle istituzioni elvetiche il presidente del collegio del tribunale dei Minori di Brescia Federico Allegri, innanzi al quale è in corso il processo Marco Toffaloni, accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage di piazza Loggia. Era il 28 maggio 1974, e Toffaloni aveva appena 16 anni.

Allegri aveva disposto l’accompagnamento coatto in aula dell’imputato, da decenni cittadino elvetico a nome di Franco Maria Muller. Un uomo misterioso, “Tomaten-Toffaloni”, di cui si sono perse le tracce, che non è chiaro dove sia e dove viva effettivamente. I testi dell’accusa sfilati al processo lo hanno dipinto come una testa calda, un violento estremista pronto a tutto che girava sempre armato. Studente del liceo Fracastoro di Verona, incubatoio di neofascisti e dei protagonisti del sanguinario e folle progetto “Ludwig”, seguace del filone esoterico dei Guerriglieri di Cristo Re e delle ronde pirogene antidemocratiche, negli anni ‘80, durante una rimpatriata tra neofascisti a Verona, avrebbe pronunciato la fatidica ammissione (“Son stà mi”) riguardo alla bomba di Brescia, davanti all’ex pentito Giampaolo Stimamiglio, il quale pare stesse rassicurando l’amico sulla scelta intrapresa del trasferimento definitivo in Svizzera (“Ne hai combinate tante”).

Stimamiglio nel 2011 ha vuotato il sacco con i magistrati, mentre lui, Toffaloni, in seguito (anche) a quelle dichiarazioni rivelate è finito alla sbarra. Sotto accusa davanti a un tribunale minorile, con una corte che ne ha chiesto, vanamente, la consegna. La notizia della mancata collaborazione delle autorità elvetiche nella ricerca dell’imputato, che è in ogni caso a piede libero, è stata comunicata dal presidente alle parti, le quali non hanno mostrato grande stupore, ben sapendo appunto che in Svizzera il reato di strage, a differenza di quanto accade in Italia, si prescrive.

Il presidente dei familiari delle vittime Manlio Milani, che segue passo passo, lui ormai ultraottantenne, gli sviluppi giudiziari della strage, non può però nascondere l’amarezza: “Ovviamente rispettiamo la legge ma presentarsi in aula per Toffaloni era un dovere morale, indipendentemente dalla sua colpevolezza o innocenza”, ha dichiarato.

Curiosamente non risulta al momento nessuna traccia nemmeno del fratello del camerata Tomaten Paolo Toffaloni, tra i testi citati dalla procura. Vivrebbe tra i monti, in un luogo sperduto sugli Appennini. E nessuno per ora sarebbe riuscito a contattarlo per presentarsi a Brescia.

La prossima udienza è fissata per il 14 novembre, quando saranno chiamati a deporre i (pochi) testi chiamati alla sbarra dalla difesa dell’allora sedicenne estremista di destra. Dopodiché la parola passerà ai consulenti per l’analisi della fotografia scattata in piazza dopo lo scoppio, nella quale stando all’accusa sarebbe stato immortalato proprio il ragazzino “Tomaten”, sempre rosso perché in preda agli accessi d’ira. E poi il processo si avvierà a conclusione.