FEDERICA PACELLA
Cronaca

Una tartaruga fra le palafitte: riappare dopo quattromila anni. Era nascosta fra i resti dell’antico lago

Il carapace scoperto dai ricercatori, coordinati dalla Fondazione Simoni, nel sito Unesco di Lucone. All’interno dell’area di Polpenazze erano già stati portati alla luce anche i resti di pesci preistorici

La tartaruga e il gruppo di ricercatori

Il carapace della tartaruga acquatica di 4mila anni fa e il gruppo di ricercatori impegnato nel sito Unesco di Lucone, nel Bresciano

Brescia – Il carapace di una tartaruga acquatica riappare dopo 4mila anni nel sito palafitticolo del Lucone, dal 2011 patrimonio Unesco. Perfettamente conservato, il carapace è stato ritrovato vicino ad un fungo del legno, segno di quanto gli studi sulle palafitte siano importanti anche per ricostruire l’ambiente dell’epoca. I ricercatori, coordinati dalla Fondazione Simoni presieduta da Marcello Zane, dalla Soprintendenza, e dal Museo archeologico della Valsabbia Mavs di Gavardo diretto da Marco Baioni, stanno esaminando i resti dell’antico lago che ospitava un villaggio palafitticolo tra il 2034 e il 1969 a.C, anno in cui fu distrutto da un incendio.

Gli scavi avviati a inizio agosto (in concessione ministeriale e realizzati grazie a Regione Lombardia) termineranno a inizio settembre, ma hanno già portato alla luce anche i resti di pesci preistorici risalenti all’età del Bronzo, tra cui frammenti ossei di lucci e tinche. Lunedì la sorpresa della tartaruga acquatica, che permette di arricchire la conoscenza del sito abitato 4mila anni fa a Polpenazze del Garda.

Come spiegato da Baioni, quest’anno si lavora per ricostruire il percorso di un canale rinascimentale che venne realizzato quando, secoli fa, il lago fu bonificato. E poi si prosegue con la ricerca sull’età del Bronzo, con l’obiettivo di trovare i resti dei pontili dove attraccavano le piroghe, come quella rinvenuta nel 1965 ed esposta al Mavs. Dati i continui rinvenimenti di vasi, a volte completamente ricostruibili, sullo scavo sono costantemente presenti anche le giovani restauratrici dell’Istituto Veneto per i beni culturali, oltre ad archeologi e ricercatori, studenti delle università di Padova, Verona, Roma ed i i volontari Unesco arrivati da Italia, Spagna, Croazia e India.

Quest’anno, tra i reperti trovati, a stuzzicare la curiosità è uno strumento di 1,6 metri, con una punta lavorata e ripiegata lungo il manico, di uso per ora ignoto. Tra i reperti più misteriosi, ci sono poi le tavolette enigmatiche in terracotta e in pietra, su cui sono incise delle linee orizzontali, con motivi geometrici. L’ipotesi più accreditata è che fossero una sorta di “bolla di accompagnamento“ per merci come il metallo, visto che di esemplari simili sono stati rivenuti anche altrove, dall’Arco Alpino fino al Danubio. Tuttavia, per ora si è persa la chiave per comprendere questo linguaggio simbolico.