Brescia, 26 settembre 2023 – Ergastolo con sei mesi di isolamento diurno. Ergastolo con sei mesi di isolamento diurno. Il massimo della pena. Davanti alla Corte d'Assise di Brescia, al pubblico ministero Caty Bressanelli sono sufficienti un'ora e cinque minuti di requisitoria per formulare le richieste di condanna per le sorelle Silvia e Paola Zani e per Mirto Milani (fidanzato della prima ma sentimentalmente legato anche alla seconda) che si sono riconosciuti colpevoli dell'omicidio di Laura Ziliani, madre di Silvia e Paola, e dell'occultamento del suo cadavere.
Era la notte dell’8 maggio 2021. L'ex vigilessa di Temù fu dapprima narcotizzata con un muffin imbottito di benzodiazepine e quindi soffocata. Passarono esattamente tre mesi prima che il cadavere venisse ritrovato nascosto lungo l'argine del fiume Oglio. Reati terribili commessi da un trio di persone, ognuna assolutamente intelligente, tutte riconosciute dalla perizia in grado di intendere e di volere e nessuna nelle condizioni di essere suggestionabile da parte delle altre due.
Delitto premeditato
"Il quadro è chiaro - dice la rappresentante dell'accusa -. Gli imputati sono rei confessi. Delle aggravanti contestate sottolineo soprattutto la premeditazione. La Cassazione ha riconosciuto che si può parlare di premeditazione anche per qualche minuto, qui si tratta di mesi, tanti mesi. È una premeditazione, per così dire, alquanto robusta.
Gli imputati non hanno esitato a uccidere, anche se Laura Ziliani era l'unico appoggio dell'altra sorella, Lucia. Questo non ha fermato Silvia e Paola e nemmeno Mirto, che conosceva la situazione da anni. L’omicidio è stato commesso il giorno prima della Festa della mamma. Questo lo rende ancora più orribile. Dal racconto di tutti e tre risulta che la povera signora a un certo punto si è risvegliata. Per qualche secondo o qualche minuto si è resa conto di quello che stava succedendo. La pena giusta è quella dell'ergastolo”.
Il piano diabolico
"I tre si sono comportati un po' come dei pasticcioni che pensavano di farla franca. Ma hanno elaborato un piano molto complesso e per molti mesi hanno mantenuto il patto di non parlare. Hanno parlato molto tempo dopo l'arresto. Sono tre persone molto intelligenti, molto più della media, del tutto prive di caratteristiche di suggestionabilità. Pensano molto. Fanno ragionamenti molto complessi. Silvia Zani dice chiaramente che erano convinti che non li avrebbero scoperti, ma che avevano preso accordi se questo fosse accaduto: per prima cosa non parlare”. Dopo avere accennato agli altri tentativi, anche maldestri, la rappresentante dell'accusa si sofferma su quello del 16 aprile del 2021, quando la Ziliani viene stordita dalle benzodiazepine contenute nella tisana che le è stata offerta. “Le benzodiazepine da sole non sono in grado di uccidere, ma è stata la prova generale di quello che si è concluso tre settimane dopo. È stato un tentativo univoco e idoneo. Il 16 aprile si sono resi conto di cosa significhi uccidere. E tre settimane dopo lo hanno portato a termine”.
Confessione tardiva
Nessuno degli imputati merita la concessione delle attenuanti generiche, che vengono riconosciute legate all'incensuratezza, alla confessione, al comportamento processuale. "La Cassazione dice che le generiche sono ammissibili per chi dà un contributo alla verità processuale. Ma qui la confessione è stata tardiva, quando era già tutto provato e gli imputati si trovavano in carcere da mesi. La loro confessione è stata inutile dal punto di vista delle investigazioni, per esempio per fare ritrovare il corpo. Hanno confessato nella primavera inoltrata del 2022, quando la misura cautelare era stata chiesta dal pm il 4 luglio del 2021, l'8 agosto era stato ritrovato il corpo della Ziliani, gli arresti erano scattati in settembre”.
Mirto Milani
Il detenuto che per primo ha raccolto la confessione di Mirto Milani, suo compagno di cella, e ha collaborato con gli inquirenti. “È apparso come lo spione che fingendosi amico ha indotto Mirto a confessare, per ottenere benefici o farsi della pubblicità. Invece non c'è alcun strumento premiale se non la legge per chi diventa collaboratore di giustizia. Il detenuto non ha tratto alcun vantaggio. Può forse avere esagerato qualcosa, ma non ha inventato nulla”.
Il movente
“Non si può parlare di un solo movente. Quello economico per me deve rimanere un po' sotto traccia. Gli immobili non rendevano al punto da diventare il movente di un omicidio e in parte erano già proprietà delle due sorelle. La perizia chiarisce il magma che ha determinato l'omicidio, l'odio scaturito da amore deluso ma comunque odio profondo, tanto profondo che io stessa, all'inizio, faticavo a crederlo”. La frase di Silvia alla madre, “Muori puttana”, è significativa di questo odio radicato e profondo. Le due figlie mal tolleravano i rimproveri della madre, lamentavano di non essere state amate a sufficienza, rivendicando più libertà e autonomia”. Insostenibile la tesi difensiva che le sorelle Zani e Mirto temessero di essere avvelenati dalla Ziliani, visto che nessuno dei tre soffre di allucinazioni. L'unica conclusione è che se lo siano inventato.
Nessun pentimento
Il pentimento è una cosa. In giurisprudenza si parla di “resipiscenza”, la comprensione di ciò che si è fatto di sbagliato, il distacco, l'inizio del reinserimento nella società. Qui non c'è stata resipiscenza. Quando è stato chiesto a Silvia se provasse dispiacere, ha risposto che le dispiaceva per il trambusto creato e per lo spiegamento di forze che c'era stato. Solo dopo che il presidente Spanò aveva insistito, è arrivato il "sì”, che sentiva dispiacere. Quindi non c'è stato un vero ripensamento. “Agli imputati non è dispiaciuto di avere ucciso Laura Ziliani, ma di essere stati scoperti e di essere finiti in carcere”, conlcude il pm. L'ultimo scorcio della requisitoria è dedicato a Paola Zani, la più giovane del trio. “La perizia dice che è la più intelligente dei tre e non era influenzabile dagli altri due. Sale sopra la madre e la tiene ferma mentre gli altri la soffocano. Tutti elementi che superano quello della sua giovane età”.
Lo psichiatra
In apertura di udienza è stato ascoltato lo psichiatra Mario Mantero. Il consulente della difesa di Mirto Milani ha concordato con le conclusioni a cui è approdata la perizia psichiatrica eseguita da Giacomo Filippini, sottolineando però nel giovane Milani “un forte sentimento di autoaggressione, di abominio per quello che ritiene di avere fatto”.
Milani e le due sorelle avevano creato un “gruppo chiuso, una specie di bolla con nessun contatto con l'esterno, una situazione favorita anche dal lockdown durante il Covid. Un gruppo di grande circolarità, con ruoli complementari. Una famiglia altamente disfunzionale che cercava di sopravvivere”. "Il delitto nasce dal gruppo, non dai singoli. Quanto si è verificato è incomprensibile, se si guardano i singoli componenti del gruppo". Il 28 novembre le arringhe di parte civile e difese, camera di consiglio e sentenza.