
Uno dei lavori dei giovani artisti esposti nella mostra "Se mi guardi"
Cosa succede quando la scienza smette di parlare solo agli addetti ai lavori e si affida all’arte per farsi comprendere da tutti? Una risposta interessante arriva da Brescia, dove fino al 28 giugno nella galleria centrale dell’Istituto Ospedaliero Fondazione Poliambulanza è aperta la mostra “Se mi guardi. Dal macro al micro, dal fisiologico al patologico”, vale a dire un’esposizione sorprendente che trasforma immagini microscopiche di tessuti patologici in opere d’arte.
Il progetto, promosso da AITIC e sostenuto da Fondazione Alessandra Bono, è più di un evento espositivo: è un manifesto visivo che unisce prevenzione oncologica e divulgazione scientifica alla potenza comunicativa dell’arte. Protagonisti sono gli studenti dell’Accademia SantaGiulia, affiancati da ricercatori, medici, tecnici e professionisti della salute, che insieme hanno costruito un percorso capace di emozionare e informare. Ne abbiamo parlato con il Cavalier Valerio Bono, presidente della Fondazione che ha promosso e finanziato la mostra.
"‘Guardare davvero’ significa fermarsi – ci ha spiegato -. E oggi, in una società che corre, che scrolla, che passa oltre con un clic, fermarsi è diventato rivoluzionario. Quando si parla di salute e prevenzione, ci scontriamo spesso con due grandi resistenze: la paura e la disinformazione. La paura della diagnosi, del “potrebbe essere”, è potentissima. Ci paralizza. Dall’altra parte, ci troviamo immersi in un mare di contenuti superficiali, spesso non verificati, che banalizzano o distorcono informazioni mediche importanti”.
"In questo contesto, la mostra nasce come un invito profondo e concreto: guardiamo davvero. Guardiamo con attenzione, con lentezza, con consapevolezza. Perché è proprio nei dettagli – spesso invisibili a occhio nudo – che si gioca la possibilità di salvarsi. È un appello a un nuovo modo di vedere: più informato, più consapevole, più umano. Alla consapevolezza, segue naturalmente la prevenzione. E su questo punto la nostra Fondazione ha un impegno preciso. Crediamo fermamente – e lavoriamo ogni giorno in questa direzione – che la prevenzione salvi la vita. Finanziamo la ricerca più avanzata al mondo dedicata alla prevenzione del tumore all’ovaio, nella convinzione che questo possa portare, finalmente, alla sua sconfitta definitiva. Parliamo di una malattia che, ancora oggi, viene diagnosticata prevalentemente in fase avanzata, perché priva di sintomi specifici nelle sue fasi iniziali. È un “killer silenzioso”, e per questo è essenziale agire prima”.

In questa mostra le immagini microscopiche diventano arte. In che modo la bellezza può diventare alleata della scienza nella lotta contro malattie gravi come il tumore alla mammella?
“La bellezza, quando è autentica, non addolcisce la realtà: la rende più comprensibile. L’arte ha il potere di parlare a tutti, di attraversare barriere culturali e linguistiche. Per questo abbiamo scelto di unire scienza e arte in un progetto che racconta, con forza e delicatezza insieme, cosa succede dentro il corpo umano. I vetrini istologici, osservati al microscopio, si trasformano in quadri, diventano metafore visive che toccano corde emotive. La bellezza può diventare uno strumento potentissimo di divulgazione, capace di avvicinare anche i più lontani alla scienza e alla prevenzione”.
Che tipo di tecnica hanno usato gli artisti?
Con “Se mi guardi” abbiamo voluto trasformare l’invisibile in visibile, facendo emergere, attraverso l’occhio di giovanissimi artisti, ciò che spesso resta confinato nei laboratori. Gli studenti dell’Accademia SantaGiulia di Brescia hanno infatti reinterpretato immagini microscopiche reali di tessuti mammari forniti dal Laboratorio di Anatomia Patologica dell’Università di Brescia ingranditi 400 volte, reinterpretandole attraverso tecniche tradizionali come l’olio su tela e su tavola. La selezione delle immagini è stata supervisionata dalla scuola di Anatomia Patologica, per garantire un equilibrio tra rigore scientifico e libertà espressiva. Ne è nata una narrazione che coinvolge, commuove e informa, una raccolta di 35 opere d’arte, in cui la morfologia cellulare e le sue trasformazioni patologiche si trasformano in immagini artistiche di straordinario impatto visivo”.
Il progetto valorizza figure poco conosciute come i tecnici di laboratorio e gli anatomopatologi. Cosa significa, in termini pratici, investire nella formazione e nella valorizzazione di questi professionisti?
“Guardare significa anche osservare con attenzione e lungimiranza. Gli anatomopatologi, i biologi, i tecnici di laboratorio sono il cuore silenzioso della diagnosi. Senza di loro, non c’è cura. Eppure, parliamo di un ambito poco conosciuto e oggi anche poco frequentato: mancano professionisti, e la carenza si farà sempre più sentire se non investiamo in formazione e riconoscimento. Per noi, valorizzare queste figure non è un atto simbolico: è una scelta concreta di politica sanitaria. Molto spesso, nella sanità, tendiamo a vedere solo chi “ci mette la faccia”: il medico, il chirurgo, l’infermiere. Ma dietro una diagnosi, dietro una cura personalizzata, ci sono sempre anche altri professionisti: tecnici di laboratorio, biologi, anatomo-patologi. Nel caso delle patologie oncologiche, queste figure sono determinanti. Le tecniche di analisi istologica e molecolare permettono di distinguere sottotipi di carcinoma che appaiono uguali al microscopio ma richiedono cure diverse, più efficaci e meno invasive”.
Il percorso espositivo è anche un racconto emotivo: dalla scoperta del dato patologico alla riflessione sulla vita e sulla speranza. Quanto è importante questa componente umana anche nella medicina moderna?
“È centrale. Oggi si parla giustamente di medicina personalizzata, ma non possiamo fermarci al solo profilo genetico: la persona va considerata nella sua totalità. Ogni referto è una storia, ogni vetrino ha dietro un volto. Dobbiamo tornare a una medicina che sappia ascoltare, accogliere, accompagnare e dare speranza. Questa è, per noi, la vera innovazione. La mostra accompagna il visitatore in un viaggio che parte dalla diagnosi e arriva alla speranza, toccando l’interiorità di ciascuno. In fondo, ogni malattia è anche un’esperienza umana: fatta di paure, domande, forza, fragilità. L’allestimento immersivo è frutto del lavoro del giovane curatore Fabio Ingrosso che ha voluto due spazi distinti a scandire l'esperienza: il primo, ampio e arioso, sottolinea il valore della ricerca e dell'indagine, mentre il secondo, più raccolto, accoglie la dimensione intima della speranza, accompagnata dai versi: sfioro il silenzio, fiorisce un sussurro. Qui, l'attenzione si sposta sulla vita che pulsa, sul miracolo che si rivela a chi sa guardare.”
La mostra nasce da una rete di collaborazione tra enti diversi. Può essere un modello per altre città?
“Assolutamente sì. Il progetto nasce da una sinergia virtuosa tra la Fondazione Alessandra Bono e AITIC (Associazione Italiana Tecnici di Istologia e Citologia) promotore del progetto che ha dato origine alla realizzazione delle tele esposte, l’Università degli Studi di Brescia, ASST Spedali Civili, Accademia di Belle Arti SantaGiulia e l’Istituto Ospedaliero Fondazione Poliambulanza che ha ospitato e realizzato la mostra. È un esempio concreto di come istituzioni, ricerca e cultura possano lavorare insieme per il bene della collettività.”
Info sulla mostra e sulle attività della Fondazione Alessandra Bono: www.fondazionealessandrabono.it