
Federica Pagani (seconda da destra) dal 2014 si batte per avere giustizia
Pontoglio (Brescia), 2 novembre 2019 - Quanto vale la vita di un uomo ucciso nella sua abitazione? Vale 7.200 euro o di più? È la domanda a cui deve rispondere la Corte di Giustizia Europea per il caso di Pietro Raccagni, negoziante di Pontoglio, nel Bresciano, morto dopo essere stato colpito alla testa da uno degli albanesi che aveva sorpreso nel garage di casa.
Il 30 gennaio di quest’anno la Corte di Cassazione, chiamata a valutare un caso analogo, ha rimesso gli atti alla Corte di Giustizia Europea perché stabilisca se l’Italia ha recepito in modo corretto le direttive europee e se quello di 7.200 euro sia un risarcimento congruo oppure no. A questo punto ha preso le sue decisioni anche il giudice monocratico del tribunale civile di Roma, Lia Papoff, al quale è affidata la causa Raccagni. Il giudice ha ritenuto che ci siano profili di illegittimità costituzionale da valutare: in altre parole, se rispecchi o meno i principi costituzionali l’equo indennizzo previsto dalla legge 122 per accesso al Fondo per le vittime di reati violenti. Ha rinviato la decisione sulla causa in attesa del pronunciamento della Corte Europea. Un pronunciamento che è lungamente atteso da Federica Pagani, la moglie di Raccagni, e dal suo legale, l’avvocato Massimo Proietti. Federica non depone le armi nella sua battaglia, anche come vicepresidente dell’Unione nazionale Vittime. «Mi auguro di cuore che la Corte Europea riconosca che quello di 7.200 euro è un indennizzo ridicolo. È come uccidere una persona per la seconda volta. Il fondo riservato alle vittime di reati violenti e da quest’anno anche agli orfani di femminicidio, è ridicolo, offensivo. Senza voler fare classifiche o paragoni, il fondo per le vittime di mafia è molto più consistente. Per questo mi rivolgo all’Unione Europea, al nostro governo. Mi rivolgo in particolare al ministro della Giustizia, Bonafede, da cui mi attendo una iniziativa».
Pietro Raccagni ha 53 anni, è proprietario di un negozio di macelleria e gastronomia a Erbusco (Brescia). La notte fra il 7 e l’8 luglio del 2014 sorprende e affronta nella sua villetta di Pontoglio una batteria di albanesi, che quando si vedono scoperti tentano di impadronirsi della Mercedes del padrone di casa. Raccagni li insegue. Viene colpito con una bottiglia di spumante. L’uomo cade battendo la testa. Muore in ospedale dopo undici giorni di coma. Nel mese di ottobre di due anni fa la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi di tre degli albanesi condannati per l’omicidio di Pietro Raccagni e confermato le pene. Un anno prima l’appello di Brescia aveva inasprito le pene e condannato Ergren Cullhaj a 16 anni e 6 mesi di reclusione, Vitor Lieshi (l’uomo che aveva colpito Maccagni) e Pjeter Lleshi a 15 anni e 6 mesi. Non aveva fatto ricorso alla Suprema Corte Erion Luli, condannato a 14 anni e 4 mesi.