FEDERICA PACELLA
Cronaca

Oltre al cancro, il Parkinson: Brescia paga i troppi veleni

Studio internazionale sull’incidenza dei disturbi neurodegenerativi e l’ambiente Nascere qui aumenta le probabilità. Non c’è solo il Pcb cancerogeno della Caffaro

La Caffaro di Brescia durante il blitz dei carabinieri per l’ultimo sequestro

L'inquinamento ambientale riduce anche la funzione neuroprotettiva di frutta e verdura contro il Parkinson. Lo ha rilevato un pool di studiosi dell’Università di Brescia, della Mount Sinai di New York e della Bicocca di Milano (Roberto Lucchini, Alessandro Padovani, Loredana Covolo, Manuela Oppini, Donatella Placidi, Stefano Renzetti, Yueh-Hsiu Mathilda Chiu, Deepika Bhasin, Chi Wen, Michael Belingheri), che ha condotto uno studio su una popolazione di 876 persone (347 casi, 398 controlli) tra 40 e 94 anni che hanno fatto accesso a 4 ospedali bresciani Asst Spedali Civili, ospedale di Esine in Val Camonica, Poliambulanza e Ancelle Domus Salutis. Obiettivo della ricerca, pubblicata nei giorni scorsi sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, era di valutare l’effetto combinato di alimentazione ed esposizione a sostanze chimiche usate in agricoltura con il rischio di Parkinson, che rappresenta la seconda malattia neurodegenerativa più comune dopo l’Alzheimer. Lo studio, oltre a confermare l’incidenza di fattori di rischio noti, come quello genetico e l’esposizione a metalli come il manganese, ha evidenziato il ruolo dell’ambiente nella comparsa del Parkinson.

Un po’ a sorpresa, rileva che essere nato nella provincia di Brescia ha un suo peso, così come in apparenza sorprendente è il maggior consumo di frutta e verdura tra le persone con Parkinson. «Una possibile spiegazione di questo risultato inatteso – scrivono gli studiosi - può essere legato al consumo di frutta e verdura non lavata, che ha portato all’assorbimento per via orale di pesticidi. Il suolo della provincia di Brescia è noto per essere ampiamente contaminato da manganese ed altri metalli come prodotti di attività industriale centenaria e, metalli come il manganese, sono legati a effetti neurodegenerativi che accrescono il rischio di Parkinson. L’inquinamento ambientale può anche spiegare l’associazione tra essere nati nella provincia di Brescia e il rischio di Parkinson». Sempre guardando all’alimentazione, gli studiosi hanno trovato che l’assunzione di caffè e pesce, non inquinato, ha invece una funzione protettiva. 

 

Brescia ha già una storia ben nota di trasmissione di veleni assorbiti dalla popolazione tramite la catena alimentare. Lo insegna bene il caso Caffaro, azienda che per 50 anni (dagli anni ‘30 agli anni ‘80) ha prodotto Pcb, sostanze cancerogene, finite nel suolo e, tramite le rogge, nei campi a Sud di Brescia, dedicati a coltivazioni ed allevamento. Da lì, dal grano, uova e latte prodotti in quei territori, i Pcb sono finiti sulle tavole dei bresciani, fino a quando, dopo l’esplosione del caso nel 2001, sono state bloccate le attività produttive su quei terreni.

Gli studi hanno poi rilevato che, in effetti, nel sangue dei bresciani erano presenti concentrazioni di Pcb superiori a quelli di altri Paesi industrializzati come gli Stati Uniti. Nel tempo i valori, grazie ai divieti alla coltivazione e allo sfruttamento del suolo contaminato, si sono ridotti, dimezzati in dieci anni, proprio per effetto dell’interruzione della catena alimentare. L’ultimo follow-up di Ats Brescia (2018) per valutare l’esposizione agli inquinanti ‘tipici’ del Sin, Sito di interesse nazionale, Caffaro (Pcb, diossine e furani) conferma un’ulteriore riduzione rispetto al precedente rapporto del 2015 del 4% dei Pcb. Proprio per questa peculiarità, la popolazione bresciana è stata anche molto studiata dai ricercatori internazionali e italiani, per capire gli effetti di questa esposizione ambientale sulla salute.

Dalle indagini condotte da Ats negli anni non sono emerse conferme di collegamento tra esposizione a Pcb e malattie tiroidee, endocrine, diabete, melanomi e Parkinson, mentre è stato rilevato un aumentato rischio di ipertensione arteriosa e dislipidemia, che, di per sé, non è prova di un nesso di causalità. Ciò non toglie che il Sin Caffaro rappresenti un grande problema di inquinamento ambientale, per il quale finalmente, dopo 20 anni di attesa, sta per partire la bonifica sul sito industriale, che ancora rilascia inquinanti a causa del mal funzionamento della barriera idraulica tesa a proteggere le falde del territorio a valle dell’insediamento produttivo.

Il 9 maggio si chiuderà il termine per presentare le offerte per i lavori di messa in sicurezza e bonifica del sito industriale, nell’ambito della gara europea da 70 milioni di euro. I dovrebbero partire nel 2023 e dovrebbero terminare nel 2028, ma il condizionale è d’obbligo perché la rimozione dei manufatti presenti nel sito potrà rivelare la presenza di ulteriori inquinanti. E in questo caso si dovrebbe rivedere il progetto. Passi in avanti sono stati fatti quanto meno sul fronte dei risarcimenti: LivaNova (multinazionale in cui è confluita Sorin, scorporata da Snia, ritenuta responsabile della contaminazione nel Sin Caffaro) dovrà versare 250 milioni di euro nel giro di poche settimane al ministero dell’Ambiente per il sito bresciano.