Dopo l’archiviazione del Tribunale dei ministri di Brescia, che aveva ‘salvato’ l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza dall’accusa di presunta malagestione della prima ondata pandemica, i familiari delle vittime del Covid 19 non si erano arresi. Un anno fa portarono la loro battaglia di giustizia in Europa e adesso dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) arrivano buone notizie: il ricorso di oltre cinquanta parenti di vittime di tutta Italia (in prevalenza bergamaschi e bresciani) ha passato il secondo vaglio di ammissibilità, la Cedu ha informato il Governo che ora dovrà rispondere ai quesiti della Corte sulle presunte mancanze. "Un risultato di portata storica - annunciano dall’associazione Sereniesempreuniti - Solo il 10% dei ricorsi giunge a questo traguardo". Oggetto del ricorso, la contestata violazione di alcune norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (articoli 2 e 13) in relazioni in particolare appunto alle decisioni del Tribunale dei ministri di Brescia e di Roma. "È una comunicazione importantissima - chiarisce l’avvocato Consuelo Locati, del team che assiste i familiari delle vittime - Il Tribunale ha ritenuto che l’oggetto del giudizio sia tale da meritare un’analisi approfondita della Corte di Strasburgo, che ha comunicato il nostro ricorso al Governo italiano e ha dato un termine alle parti per rispondere ai quesiti posti alla stessa Corte: dalle carenze nell’affrontare la pandemia all’assenza di un piano pandemico aggiornato, fino al non aver permesso ai familiari di partecipare in qualità di parti civili ai processi dinanzi al Tribunale dei ministri per le presunte responsabilità del Governo di allora, della Regione Lombardia e del Cts. Abbiamo la prova che erano sussistenti i presupposti dell’indagine della procura di Bergamo che aveva individuato 21 indagati". Tra i firmatari del ricorso c’è Dolores Del Tomasi, medico del Civile di Brescia. Il 6 aprile 2020 perse il padre 80enne.
"Mio papà due settimane prima di ammalarsi giocava a tennis, stava benone - si rammarica la dottoressa - Si ammalò il 17 marzo e lo curai in casa fino al 31 marzo. Eravamo abbandonati a noi stessi. Le restrizioni furono imposte in ritardo e male. Per non dire dell’incubo vissuto da noi sanitari negli ospedali, senza attrezzature e obbligati a scegliere chi salvare. Non capitava solo agli 80enni di non venire portati in Rianimazione. Giravano delle circolari su cui sono stati chiusi gli occhi. A differenza di altri Paesi europei, da noi nessuno si è degnato neppure di chiedere scusa".