Brescia, 26 gennaio 2025 – C’è un momento in cui la normalità si trasforma in ordinaria follia. Per l’Italia, quel momento fu il 1938 con le leggi razziali, un “patto col diavolo“ che ancora oggi sconvolge. E c’è un “non detto“ sotto cui sono rimaste sepolte per anni verità con cui è ancora difficile confrontarsi, sia per chi deve raccontarle, sia per chi deve ascoltarle. Lo sa bene Guido Dalla Volta, bresciano classe 1956, una carriera brillante come ingegnere elettronico in Italia e all’estero e un passato che ha fatto riemergere col libro “Vita da ariani“, che racconta la storia della sua famiglia segnata dalla fine tragica del nonno Guido e dello zio Alberto Dalla Volta, fra i 70 bresciani deportati dai tedeschi e mai più tornati.
Figlio di madre cattolica, Guido Dalla Volta era perfettamente integrato nel suo contesto sociale. C’era solo un dettaglio, ininfluente fino al 1938: i Dalla Volta avevano origini ebraiche. Come ricostruito dal nipote, per quattro anni cercò di fare istanza per essere considerato misto-ariano invece che misto-ebreo. Un tentativo vano, nonostante il lungo iter burocratico: deportato nel 1943, finì ad Auschwitz, in una camera a gas, mentre Alberto scomparve durante la marcia di evacuazione del campo, nel gennaio 1945.
“Il più forte, il più risoluto, il più degno di sopravvivere”, recita una lettera dedicata proprio ad Alberto: a firmarla, il suo compagno di prigionia, Primo Levi, che all’amico ha dedicato i passaggi salienti di “Se questo è un uomo“. La storia di Alberto ha permesso al nipote di interfacciarsi con Liliana Segre, che ha firmato la prefazione del libro (domani sera la presentazione a Montichiari). “Lei raccontava nelle interviste di aver chiesto a Primo Levi se il “suo“ Alberto potesse essere suo padre. Io allora le ho scritto, spiegandole che si trattava di mio zio”. Il nome di Guido e Alberto Dalla Volta è inciso, come una ferita per la città, nelle pietre d’inciampo in piazza Vittoria, ma recuperare la loro storia non è stato facile neanche per il nipote.
“In famiglia si raccontava solo che il nonno e lo zio erano stati deportati dai tedeschi e non erano più tornati. Non si faceva accenno all’ebraismo, alla Shoah italiana”. Dalla fine degli anni ’90, grazie anche alle ricerche storiche di Marino Ruzzenenti, la storia inizia a riemergere. Dal 2019, per quattro anni Dalla Volta si dedica a recuperare documenti, testimonianze. “È emerso il tradimento del regime, innanzitutto – racconta – perché tra gli ebrei italiani la percentuale di iscritti al partito fascista era anche maggiore rispetto al resto della popolazione, per varie ragioni”. Guido, ad esempio, era commissario del sindacato provinciale fascista dei commercianti di prodotti chimici. C’è quindi il tradimento di Stato, ma anche la negazione del fascismo per una famiglia che poi ha annoverato partigiani tra le sue fila. E c’è il dolore di esser stati traditi anche dai propri concittadini.
“A deportare gli ebrei italiani erano italiani. Quindi il silenzio per anni è stato legato non solo al dolore, ma anche al fatto che nessuno era davvero disposto ad ascoltare”. Una pagina irrisolta della storia italiana, che oggi, però, va raccontata, anche a fronte dei rigurgiti di neofascismo e antisemitismo, spesso legato all’antisionismo. “Sono tre aspetti politicamente distinti, spesso intrisi di ignoranza. La somma finale, però, ci porta quasi a dire che è meglio fare la vita da ariani, ovvero negare le origini. Oggi nel momento in cui una persona rivela origini ebraiche, non sa dove sono gli amici e dove i nemici. Sarebbe meglio nascondersi, ma invece è importante e doveroso onorare questa memoria”. Preoccupano gli insulti e le minacce, ad esempio, ad una persona come Liliana Segre. “Dovremmo tornare a tacere perché abbiamo paura dell’antisemitismo? No, serve anzi più cultura, più Giorno della memoria. Con l’Olocausto è stato deciso che doveva sparire dalla faccia della terra un intero popolo, la disumanizzazione di Auschwitz era il beneficio di chi restava vivo. Questo è qualcosa di diverso da tutti i genocidi o etichette che vogliamo dare a qualunque tragedia, pur immane”.