Brescia - Dipinti, bassorilievi, libri, strumenti musicali, armature. Oltre cinquanta opere d’arte, esposte al Museo di Santa Giulia, che tentano di restituire lo spirito di un’epoca: il Rinascimento bresciano. Un periodo che si aprì con il brutale sacco del 1512 e che si caratterizzò come una stagione di grande fermento artistico e culturale. Una rinascita colma di inquietudine, che la mostra Il Rinascimento a Brescia racconta con le opere di grandi pittori della città - Moretto, Romanino e Savoldo - alcune delle quali prestate da altri musei nazionali e internazionali, da Los Angeles a Vienna, da Budapest a Milano. Ma oltre ai dipinti sono esposti una serie di oggetti che raccontano il contesto concreto in cui si muoveva la vita degli uomini e delle donne nella prima metà del Cinquecento: le mode, la musica, i santi, le armi, gli amori, il rapporto con la natura. Il tutto accompagnato da una serie di itinerari in città, tra edifici sacri e sale della Pinacoteca. Organizzata da Fondazione Brescia Musei e co-prodotta da Skira, la mostra è aperta dal 18 ottobre al 16 febbraio 2025.
Sterminio: il trauma del sacco di Brescia
L'esposizione si apre con la sezione Sterminio, che attraverso opere e oggetti racconta il brutale episodio del 1512. All’epoca Brescia era una grande città commerciale, prosperosa e produttiva, tra le venti più popolose d’Europa. Il dominio della Repubblica di Venezia, cominciato nel 1426, si interruppe nel 1509, quando l'esercito veneziano fu umiliato dalla Lega di Cambrai e dal re di Francia Luigi XII. Nel 1512 alcuni nobili favorevoli alla Serenissima ordirono una congiura, che fu però scoperta e seguita da una punizione esemplare, il saccheggio della città ad opera delle truppe francesi condotte dal giovane Gaston de Foix. Si stimano circa 8mila morti, oltre a stupri, rapimenti, incendi e devastazioni. Un tragico evento, raffigurato da Bambaia - su commissione del re di Francia - in una splendida lastra, pensata in origine per il sepolcro marmoreo di Gaston de Foix.
Devotione: la rinascita dopo la crisi
“All’indomani della catastrofe Brescia ripartì con una stagione della pittura fra le più importanti per la città e per l’Italia”, racconta Francesca Bazoli, presidente della Fondazione Brescia Musei. A questa rinascita è dedicata la seconda sezione: Devotione. Il nome richiama il grande fermento culturale e religioso, negli anni del ritorno sotto il dominio della Serenissima. Divisa e sfranta, la città si ricompattò attorno ai simboli della tradizione, a partire dai santi, celebrati in numerosi dipinti. Erano anni dominati dalle tesi di Lutero, dal dibattito interno alla Chiesa e da una grande attenzione per la cura dei malati, offerta da numerose confraternite laiche. A evocare quest'aspetto è Moretto, con San Rocco medicato da un angelo, una pala che raffigura il santo colpito dalla peste dopo aver prestato assistenza ai malati.
Armonia: musica e natura come cura per lo spirito
In quest’epoca grande attenzione venne data alla musica e al rapporto dell’uomo con la natura, dimensioni nelle quali si cercava una condizione di armonia. E proprio Armonia è il titolo della terza sezione, che accoglie capolavori come Le dieci giornate della vera agricoltura, un trattato in cui Agostino Gallo teorizza il ritorno alla vita rurale come strumento per il rinnovamento morale della civiltà. In questa sezione è esposto il Violino Carlo IX, realizzato per il re di Francia da Andrea Amati: "È il violino più importante al mondo, e funziona ancora", racconta Enrico Valseriati, uno dei curatori della mostra. Accanto c'è il bellissimo arpicordo realizzato da Gianfrancesco Antegnati, uno strumento suonato dalle donne delle casate aristocratiche per accompagnare il canto: "Al mondo ne esistono due in questo stato di completezza", sottolinea il curatore. Due gioielli, che testimoniano quanto la musica fosse praticata dai nobili dell'epoca, che le attribuivano la capacità di attenuare i travagli della condizione umana.
Virtù: vita e costumi dell'aristocrazia bresciana
La quarta sezione - Virtù - è un percorso attraverso i costumi della nobiltà. Qui si possono ammirare il corsaletto da parata di Girolamo Martinengo e il ritratto del nobile affiancato da quello di sua moglie, Eleonora Gonzaga, entrambi dipinti da Moretto in onore delle nozze. E poi uno splendido arazzo di Romanino, parte di una serie realizzata in occasione del matrimonio per addobbare le sale del palazzo e le vie della città. "Questa è la vera novità della mostra: è stato scoperto in una collezione privata ed è esposto per la prima volta", commenta Roberta D'Anna, curatrice della mostra. Un'altra perla di questa sezione è il meraviglioso piatto con lo stemma della famiglia Calini, che intreccia un ambiente bucolico a scene della mitologia: a realizzarlo è stato il più importante ceramista dell'epoca, Nicola da Urbino.
Affanni: la malinconia di Fortunato Martinengo
Per finire, nell’ultima sezione - Affanni - è esposto un solo quadro, il più importante della mostra, il più suggestivo e introspettivo ritratto del Cinquecento bresciano: quello di Fortunato Martinengo, raffigurato da Moretto e in prestito dalla National Gallery di Londra. Conte bresciano, mecenate, poeta, musicista, fondatore dell’Accademia dei Dubbiosi, nella sua figura si addensano molte delle inquietudini tipiche dell'epoca. Nato nel 1512 e morto nel 1552, la sua vita scandisce esattamente gli anni raccontati dalla mostra. Insomma, l'opera ideale per chiudere questo viaggio fra quarant'anni di arte, storia e vita della Brescia del Cinquecento. Una città che con il suo Rinascimento è riuscita a superare un'immane tragedia, donando ai posteri una stagione artistica e culturale di straordinaria importanza, capace di influenzare la pittura italiana nei secoli a venire.