Il dato dell’astensione, in un’elezione locale o nazionale, provoca sempre sentimenti di rassegnazione e preoccupazione in Italia, eppure nessun esponente della classe politica sembra aver mai suggerito uno strumento per affrontare il problema, sempre che di problema si tratti. In Paesi come gli Stati Uniti, ad esempio, la partecipazione politica è molto bassa, esistono delle barriere di ingresso al voto (ad esempio la registrazione dell’elettore), e nonostante questo non sembra esserci grossa preoccupazione da parte dei politologi o dei politici stessi.
Certo è che si tratta di un’inefficienza: è offerta un’opportunità a cento persone, la sfruttano in cinquanta, e le altre cinquanta ne subiscono gli effetti. Una proposta per gestire questa inefficienza è arrivata da alcuni matematici, che hanno ripreso la storia delle poleis greche e dell’antica repubblica di Venezia, dove alcuni cittadini venivano estratti a sorte per prendere decisioni politiche, con l’obiettivo di garantire una maggiore rappresentatività della popolazione. Così, in alcuni ambienti accademici, è nata l’idea di assegnare tutti i seggi secondo un criterio strettamente collegato al risultato elettorale percentuale, assegnando la percentuale generata dall’astensione, all’elezione di candidati estratti a sorte tra cittadini “volenterosi” iscritti a liste di elezioni.
Questo meccanismo, secondo i promotori, dovrebbe ridurre le inefficienze, moderando l’astensione e generando una responsabilizzazione del cittadino eletto che sembra - almeno secondo le evidenze - non agire in modo peggiore rispetto al cittadino eletto secondo un criterio “tradizionale”, ovvero a seguito di una campagna elettorale. Altri paesi, come Australia o Argentina, hanno reso il voto un obbligo del cittadino, con multe, sanzioni e punizioni per chi transige. I risultati però non sembrano eccezionali. In altri territori, come l’Estonia, si punta sempre più ad un voto elettronico, che dovrebbe, nel suo intento, ridurre al minimo il rischio di astensione. Che si tratti di promuovere processi democratici innovativi o digitali, la democrazia oggi richiede un nuovo approccio.
La società è cambiata: sempre più persone vivono come fuori sede, molti non hanno la possibilità di recarsi a votare, altri ancora non sono a conoscenza delle proposte politiche poiché mancano (come invece accade in Svizzera) strumenti di comunicazione istituzionale relativi alle posizioni dei diversi partiti o schieramenti. Insomma, sembra difficile continuare a votare come si faceva settant’anni fa, senza considerare le innovazioni di processi e società. Anche la migliore delle democrazie può innovarsi e innovare, senza perdere le sue caratteristiche fondanti e se più persone potranno o vorranno votare, sarà di certo una buona notizia.