COMO – Proprio come Newton, che scoprì la gravità quando una mela gli cadde sulla testa, Tommaso Malinverno ha individuato un’incisione paleontologica risalente a oltre 3.200 anni fa grazie a un pomodorino caduto dal panino, mentre pranzava in un sosta lungo il sentiero che si inerpica verso la Capanna Bernasconi. Un incidente di percorso che si è trasformato in una delle più straordinarie scoperte archeologiche degli ultimi decenni: un gruppo di petroglifi datati tra i 3.600 e i 3.200 anni fa, ovvero nella Media Età del Bronzo, ai piedi del ghiacciaio del pizzo Tresero, in Valfurva nel parco nazionale dello Stelvio.
Un ritrovamento destinato a far riscrivere, almeno in parte, la storia della colonizzazione delle nostre Alpi e interrogarci sugli effetti del cambiamento climatico che hanno riportato alla luce un mistero rimasto custodito per millenni dal ghiacciaio. Il sogno di una vita per generazioni di studiosi battuti da un ragazzino di appena 13 anni di Como, in vacanza con la famiglia in Valtellina.
“Diciamo che sono stato molto fortunato – sorride Tommaso Malinverno, che oggi di anni ne ha 20 e studia Economia alla Cattolica di Milano, ma in fondo al cuore si sente ancora un po’ Indiana Jones – Ricordo ancora quel giorno come fosse oggi. Era l’agosto del 2017 e mi trovavo in vacanza con la mia famiglia vicino a Bormio. Tutto è accaduto durante un’escursione sotto al Tresero, diretti verso la Capanna Bernasconi. Si tratta di una camminata particolarmente impegnativa e dopo alcune ore ci siamo fermati a mangiare un boccone. Io mi sono scelto un bel masso piatto e mi sono messo comodo, ho tirato fuori un panino e ho iniziato a mangiare, un pomodorino è caduto sul sasso e ho abbassato lo sguardo”.
Così Tommaso è riuscito a riconoscere quello che gli sembrava un disegno su una roccia: una spirale per l’esattezza. “A quel tempo sognavo di fare l’archeologo da grande e così ho pensato che quelle tracce non potessero essere casuali, ma un segno del destino. Per questo ho iniziato a guardare anche gli altri sassi che c’erano lì attorno e su uno di questi ho riconosciuto il geroglifico di un omino”. Senza saperlo Tommaso si era imbattuto in una delle più straordinarie scoperte archeologiche degli ultimi decenni: il sito di incisioni rupestri più alto d’Europa.
“Ho fatto ancora qualche passo e più avanti c’era un’altra figura di uomo seduto su un animale, forse un cavallo. Allora l’ho detto a papà e abbiamo scattato alcune foto, cercando di prendere indicazioni il più precise possibili sul luogo in cui ci trovavamo. Ritornati a casa abbiamo avvisato Roberto Caimi, un amico di famiglia che fa l’archeologo spiegandogli che forse avevamo trovato qualcosa”.
A questo punto è iniziata la lunga attesa, durate sette anni, per consentire agli studiosi di salire in quota compiere tutte le verifiche necessarie. “Ogni tanto chiedevo a Roberto se c’erano aggiornamenti, poi tre mesi fa sono stato informato che i geroglifici erano reali e si era proceduto alla datazione. È stata davvero una grande emozione per me. Anche se oggi studio Economia infondo infondo la passione per l’archeologia mi è rimasta”.
Nei giorni scorsi, quando al Pirellone hanno presentato ufficialmente la scoperta, in mezzo al nome di tanti studiosi è stato citato anche Tommaso Malinverno, al quale è stato riconosciuto niente meno che il ruolo di scopritore. In barba a chi pensa che i ragazzi di oggi gli occhi li tengono perennemente posati sui loro smartphone. “Sono stati molto gentili e l’essere citato come scopritore mi ha reso molto orgoglioso. Sono tornato diverse volte sotto al Tresero, rimane una delle mie escursioni preferite quando sono in vacanza a Bormio, di sicuro adesso lo farò ancor più volentieri”.