
Assunta Aiello e suo figlio Pietro, che compirà 30 anni il prossimo gennaio
Lomazzo (Como) – Pietro è nello spettro autistico. Eppure vive in una comunità psichiatrica in provincia di Como. Ci si potrebbe fermare qui: è noto che l’autismo non è una malattia, tanto meno mentale. Eppure Pietro passa tutte le sue giornate in una comunità psichiatrica. E non da oggi: è letteralmente cresciuto in comunità, ci vive da 13 anni, quando vi è entrato aveva 17 anni. A gennaio ne compirà 30. Sei anni fa la svolta: il Dipartimento di Salute Mentale dell’ASST Lariana fa sapere ai suoi genitori che la comunità psichiatrica non è il posto migliore per lui. Quasi mai lo è per chi è nello spettro. “Dal Dipartimento ci hanno detto che la struttura in cui si trova nostro figlio non è in grado di riabilitarlo – racconta Assunta Aiello, sua madre –. Così ci hanno chiesto di trovare un’altra soluzione, meglio se un centro per l’autismo”. Assunta si è attivata ma in 6 anni non ha trovato alcun centro che possa accogliere il figlio.
“Ho provato pure in provincia di Cremona. Invano. Pietro è in lista d’attesa da 6 anni. Intanto resta in comunità”. Ora Assunta non ne può più, vuol capire come sia possibile che una famiglia sia lasciata sola di fronte a una scelta tanto importante, perché il Dipartimento di Salute Mentale, l’ASST in generale, l’ATS di Como, i Servizi Sociali del Comune di Lomazzo, dove risiede col marito, non si attivino per una soluzione. “Io e mio marito siamo completamente soli”. Né si può attendere oltre. “Pietro sta peggiorando di giorno in giorno, passa il suo tempo chiuso in camera. Esce solo la domenica, quando io e suo padre possiamo andare a fargli visita. Si sta completamente disabituando agli stimoli esterni, riesce a stare solo in zone naturali in cui non c’è quasi nulla”. Nell’attesa che si trovi la soluzione migliore per lui, Assunta chiede che in comunità Pietro possa avere un educatore “col quale ricominciare un percorso di riabilitazione”.
“Fino a qualche anno fa c’era un operatore, ma da un po’ di tempo a questa parte non più – spiega –. Ce ne sono due per 6 ospiti e siccome Pietro ha meno bisogno di altri, non è aggressivo, si trova spesso a star da solo. Io non riesco più a saperlo tutti i giorni chiuso in quella stanza: ha 30 anni, non può e non deve fare questa vita, questo non è rispetto dei diritti delle persone con disabilità”.
Come raccontato da Assunta, Pietro ha frequentato un centro per l’autismo fino ai 17 anni. Lo ha dovuto lasciare perché l’allora direttrice non tollerava le frizioni con i suoi genitori che a loro volta non tolleravano “di non poter entrare nella stanza di Pietro e non sapere con puntualità che gli accadesse”. Ora quello che conta è altro: “È stato quando siamo stati costretti a lasciare il centro per l’autismo che l’ATS di Como ci ha proposto la comunità psichiatrica. Ci fu detto che sarebbe stato garantito il rapporto uno a uno ospiti-educatori ma da 3 anni non è così. Non ce l’ho con la comunità ma a mio figlio serve altro: l’ha detto il Dipartimento di Salute Mentale e lo constatiamo ogni domenica. Ho scritto pure all’assessorato regionale alla Disabilità”.