ROBERTO CANALI
Cronaca

Cantù, così nacque la Città del mobile

La storia del design non sarebbe la stessa senza il suo centro produttivo

Artigiani canturini nella bottega

Cantù, 9 marzo 2019 - Verrebbe da dire da dire che a Cantù si fanno mobili da sempre, invece il fenomeno è relativamente recente, metà Ottocento, ma grazie a felici concomitanze e anche molta lungimiranza da parte degli amministratori dell’epoca, in pochi decenni è nato il mito meritato della Città del Mobile. Una storia affascinante e spesso ignorata dai suoi stessi protagonisti indagata da Tiziano Casartelli, architetto con il gusto dell’indagine storica, nel suo ultimo libro «Cantù e il mobile. Dal gusto classico al design», pubblicato in questi giorni dalle Edizioni Canturium. «Si tratta del primo studio che affronta per intero la storia del principale settore produttivo canturino – spiega l’autore – Centocinquant’anni di storia che hanno visto la progressiva affermazione del nome di Cantù fino al conseguimento, nel periodo compreso tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del secolo scorso, di quel primato che l’avrebbe proiettato il nome della città nella sfera internazionale. La storia del design italiano non sarebbe la stessa se i protagonisti del progetto industriale non avessero potuto fare affidamento sui centri produttivi dove realizzare le loro idee, verificandole con l’ausilio di artigiani in grado di sviluppare anche il progetto più complesso». Un saper fare che ancor oggi alla base della fama dei mobili made in Cantù che oltre a essere belli da vedere sono pensati per durare nel tempo.

«La cura  del dettaglio, l’affidabilità e la solidità dei prodotti se vogliamo una sorta di approccio etico al fare impresa che però negli anni è diventato una specie di marchio di fabbrica dei mobili prodotti a Cantù, costruiti per durare – prosegue l’autore – Il passaggio decisivo ha avuto luogo nel corso degli Sessanta, grazie a esperienze importanti come quelle della Selettiva (la città è arrivata ad avere ben cinque, realizzate grazie all’aiuto degli enti pubblici ndr.) quando il gusto contemporaneo ha gradualmente ridotto l’utilizzo del mobile in stile senza penalizzare più di tanto la produzione in città che aveva già cambiato passo». Merito anche degli insegnamenti dell’Istituto d’Arte che ha avvicinato generazioni di artigiani poi diventati imprenditori all’arte della lavorazione del legno e al design. Non è un caso che maestri del calibro di Giò Ponti fossero di casa qui e la competenza dei canturini tutte le volte che c’è di mezzo il legno è proverbiale ancor oggi. Non è un caso che dall’inizio del ‘900 in città si parla di aprire un museo del Mobile finora rimasto poco più che un desiderio. «È una delle cose che più mi stanno a cuore – ha confessato l’assessore alla Cultura, Teo Ferrari – Purtroppo le risorse sono quelle che sono e anche per accedere a bandi regionali o europei occorre avere la proprietà degli spazi. Diciamo che ci stiamo lavorando».