Varese, 19 gennaio 2021 - In Canton Ticino sono entrate in vigore ieri una serie di norme più restrittive in contrasto al coronavirus. Tra queste anche l’obbligo del telelavoro, novità che interessa da vicino i circa 30mila frontalieri del varesotto che quotidianamente varcano il confine. Ancora presto, dopo una sola giornata di applicazione, per stilare un bilancio di quanti sono gli addetti coinvolti. Ma i sindacati sono pronti a monitorare la situazione. "Stiamo aspettando di capire quale sarà l’impatto – commenta Roberta Tolomeo, responsabile frontalieri per la Cgil di Varese – ci aggiorneremo nelle prossime ore con i colleghi svizzeri per capire quali saranno i numeri".
Sul fronte fiscale invece non sono previste novità per i lavoratori italiani che opereranno da casa. Un accordo dello scorso giugno tra Italia e Svizzera ha infatti stabilito che per i frontalieri in smart working viene mantenuto il trattamento ordinario, evitando così la doppia imposizione. La novità dell’obbligo del telelavoro va a inserirsi in un quadro abbastanza complesso per il frontalierato: al di là del confine non sono stati previsti blocchi ai licenziamenti come in Italia e cresce il numero di chi perde il posto. "Tanti frontalieri – continua Tolomeo – vengono lasciati a casa e si rivolgono a noi per richiedere la disoccupazione. È una situazione molto critica". I problemi riguardano indistintamente quasi tutti i comparti, in particolare il manifatturiero e l’edile. Fa eccezione la sanità, dove gli italiani sono sempre molto ricercati. Chi perde il lavoro in Svizzera ha diritto alla disoccupazione italiana, con quote molto più basse rispetto ai salari ticinesi. I sindacati si augurano quindi che l’utilizzo dello smart working possa frenare questa tendenza. "Potrebbe essere un modo per diminuire la possibilità dei licenziamenti", osserva Roberto Pagano, coordinatore frontalieri per la Cisl dei Laghi, che saluta positivamente la novità relativa al lavoro a distanza.
«Può essere un’opportunità importante senza il vincolo temporale del 25% delle ore in telelavoro che c’era in passato. Lavorare da casa vuol dire anche meno spostamenti e meno contagi". E i sindacati guardano anche al domani, un futuro in cui si prevede sempre più frequente il ricorso alle varie forme di lavoro agile, anche a cavallo della frontiera. L’auspicio è che si possa passare dal periodo emergenziale a una fase strutturale. "In futuro – commenta Raimondo Pancrazio, responsabile nazionale Uil frontalieri – la prestazione lavorativa fuori dall’azienda potrà avere un’estensione superiore e questo non dovrà pregiudicare né il trattamento fiscale né previdenziale. Il Governo si è impegnato a porre questo tema nel confronto con la Svizzera".