Como – Sequestro. Omicidio. Per la morte di Cristina Mazzotti l’appuntamento sarà il 25 settembre del 2024, davanti alla Corte d’Assise di Como, quasi mezzo secolo dopo la tragedia. Nell’udienza preliminare la gup di Milano, Angela Minerva, ha accolto le richieste del pm e rinviato a giudizio Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Talia e Giuseppe Morabito. I quattro, in concorso con altri tredici, tutti condannati a suo tempo, "con apporti causali anche distinti, ma comunque convergenti e in attuazione di un comune progetto criminoso" (si legge nell’avviso di conclusione delle indagini firmato dal pm Stefano Civardi) sequestrarono Cristina, "segregandola in una buca a Castelletto Ticino senza sufficiente areazione, senza possibilità di deambulazione, somministrandole massicce dosi di tranquillanti ed eccitanti, così cagionandone volontariamente la morte".
Cristina Mazzotti aveva 18 anni quando venne rapita, la notte del primo luglio del 1975, a Eupilio, nel Comasco, prima donna al nord vittima dell’anonima calabrese. Sopravvisse per un mese. Il corpo venne sepolto in una discarica a Galliate, nel Novarese. Per la sua liberazione erano stati chiesti cinque miliardi. Il padre era riuscito a mettere assieme un miliardo e mezzo e pagò. Latella, Calabrò e Talia avrebbero eseguito materialmente il sequestro "in concorso con altri individui non ancora potuti identificare". A Latella appartiene l’impronta sulla Mini Minor a bordo della quale viaggiava Cristina con il fidanzato e un’amica. A carico di Calabrò, soprannominato “u dutturicchio“, ci sono la chiamata in correità di Latella, i riconoscimenti, il pagamento a Latella, a Sanremo, della parte di riscatto dovuta.
Talia è accusato da Latella e da un personaggio della caratura di Angelo Epaminonda, che riferisce una confidenza ricevuta dallo stesso Talia sulla sua partecipazione al rapimento. Il nome di Giuseppe Morabito, 79 anni, calabrese di Africo, trapiantato nel Varesotto, è fatto dal “pentito” Antonio Zagari come ideatore del sequestro a scopo di estorsione insieme con Francesco Aquilano e Giacomo Zagari, padre di Antonio. Secondo il pm Morabito "partecipava alla presa della vittima sequestrata mettendo a disposizione l’autovettura Alfa Romeo di colore blu acquistata da Aquilano Francesco e utilizzata per segnalare l’arrivo della Mini Minor e fare da staffetta verso il luogo di prigionia". Il fratello e la sorella di Cristina Mazzotti, assistiti dall’avvocato Fabio Repici, si sono costituiti parte civile.