Como - "Ho sentito un trambusto mentre costeggiavo la zona di piazza San Rocco, e ho visto l’assassino che lo accoltellava. Don Roberto ha fatto qualche passo, era già ferito ed è stato raggiunto dall’imputato. Si teneva la pancia, camminava a fatica. Ho visto un gesto ripetuto, sferrare diverse coltellate". L’unico testimone oculare che ha assistito a buona parte dell’aggressione è un uomo che abita a pochi metri da piazza San Rocco, e che la mattina del delitto, alle 6.40 del 15 settembre dello scorso anno, era sceso con il cane. "Con l’altra mano, con la sinistra lo teneva al collo – ha proseguito nel suo racconto – E con la destra gli infliggeva una serie di colpi, ripetuti. Io ho visto solo le coltellate alla pancia, ma la camicia del don era già macchiata di sangue. Non ho sentito scambiare nessuna parola tra di loro. Sono scappato verso casa per chiamare i soccorsi, non avevo con me il cellulare, e alle mie spalle sentivo don Malgesini chiedere aiuto. Poi sono nuovamente sceso, c’era don Roberto steso a terra, mentre arrivavano i ragazzi nordafricani dell’oratorio".
Poco prima Ridha è stato incrociato da un altro testimone che lo ha riconosciuto: "Sono passato da piazza San Rocco pochi minuti dopo le sette, ho incrociato Ridha che camminava veloce sul marciapiede. Si è voltato per attraversare la strada, era diretto verso via Leoni. Ho saputo dell’omicidio e ho contattato le forze dell’ordine per raccontare questo particolare, perché pensavo che potesse essere un testimone di quello che era accaduto poco prima, visto che l’orario corrispondeva, ma non immaginavo che potesse essere stato lui".
La storia della permanenza in Italia di Mahmoudi è stata ricostruita da Matteo La Porta, ex dirigente dell’Ufficio Immigrazione della Questura di Como. Partendo dalla prima traccia della sua presenza in Italia, nel 1993, quando era stato identificato per la prima volta. Dal 1996 inizia una storia di espulsioni, sanatorie, ottenimento di permessi di soggiorno da altre Questure fino al matrimonio con un’italiana avvenuto nel 2003. Il permesso di soggiorno per motivi familiari gli era stato concesso, ma poi nel 2015 viene espulso. Da quel momento inizia l’iter di ricorsi, e la concessione di rimanere in Italia per beneficiare di cure mediche che in Tunisia non gli potevano essere garantite. Fino al 2018, quando il suo ricorso viene rigettato mandandolo incontro all’ennesima espulsione del 2020, non eseguita perché nel frattempo si era entrati nel pieno dell’emergenza Covid. Il processo prosegue tra una settimana, quando saranno ascoltati i consulenti, tra i quali lo psichiatra incaricato di valutare la sua stabilità mentale.