Gli elementi accusatori "per quanto non privi di una loro consistenza sono comunque insufficienti per un’affermazione di colpevolezza". "Non si può dire con certezza che l’imputato sia stato vittima di una vera e propria manovra calunniosa degli infermieri che lo avevano denunciato, ma allo stesso tempo la Corte ritiene che l’assoluzione debba essere confermata". Questa in sintesi la ragione per cui anche la Corte d’assise d’appello il 13 ottobre ha scagionato (stavolta con formula dubitativa) Carlo Mosca, ex primario del pronto soccorso di Montichiari accusato di omicidio volontario per avere soppresso con iniezioni letali due pazienti Covid, Angelo Paletti e Natale Bassi.
Era il marzo 2020, prima ondata pandemica. C’era un bisogno disperato di posti letto negli ospedali. Per i giudici di primo grado il medico, per un anno e mezzo ai domiciliari, fu vittima di un complotto da parte di due infermieri (per i quali furono trasmessi gli atti in procura), che avrebbero iniettato i medicinali post mortem nei pazienti moribondi per incastrare il primario, inviso in quanto sospendeva permessi e obbligava a rientri in servizio. La procura sosteneva che Mosca uccise.
"Ritiene la Corte che per quanto non si possano condividere in toto le conclusioni cui è pervenuta l’impugnata sentenza, la stessa debba essere confermata" ha scritto il presidente Claudio Mazza, nelle motivazioni del verdetto d’appello. "Per quanto talune argomentazioni non appaiono affatto prive di spessore, gli elementi probatori disponibili e valorizzati dal pm non consentono un’unica ricostruzione dei fatti".
Una delle prove presentate erano state le fiale di Propofol e succinicolina vuote rinvenute nel cestino all’indomani della morte di Paletti: "Per quanto questa Corte non ritenga che possa essere dimostrato con certezza che siano stati i due infermieri a confezionare ad hoc la falsa prova, ciò che maggiormente rileva è l’impossibilità di escludere ipotesi alternative a quella che vede Mosca utilizzare quelle fiale". Anche se, viene scritto, "non può non sottolinearsi come il superattivismo degli accusatori di Mosca abbia quantomeno prodotto danni irreparabili per l’accertamento della verità".
Beatrice Raspa