Como – Un accordo che è andato letteralmente di traverso alla Lega dei ticinesi quello siglato nei giorni scorsi tra Italia e Svizzera per sistemare alcune questioni in sospeso in materia fiscale.
In particolare la Svizzera ha ottenuto di essere tolta dalla black list dei paradisi fiscali in cui l’Italia l’aveva inserita fin dal 1999, concedendo in cambio una proroga al telelavoro dei frontalieri fino al prossimo 30 giugno, in attesa di siglare una nuova intesa sulla materia.
Un’apertura che non è piaciuta per niente alla Lega dei Ticinesi che da anni denuncia l’eccessiva presenza dei frontalieri nella Svizzera italiana.
"I frontalieri che possono usare telelavoro non sono né gli operai edili e nemmeno il personale curante - denunciano i leghisti svizzeri - ma il personale che lavora nell’ambito del terziario, in ufficio. Ovvero quei frontalieri che non rispondono ad alcuna carenza di manodopera ticinese, ma che la sostituiscono, e il cui numero continua a crescere senza alcun controllo, creando pesanti distorsioni sul mercato del lavoro del nostro cantone".
Dei quasi 78mila frontalieri si recano al lavoro in Canton Ticino oltre 31.400 vivono in provincia di Como e 32.600 sono varesini. "In base agli ultimi dati il frontalierato è in aumento del 4,4% e i permessi G (che sono riservati a chi vive all’estero e ogni giorno per lavoro si reca oltreconfine, ndr) sono cresciuti del 5,6%. Il numero di lavoratori italiani impiegati nel terziario è quintuplicato negli ultimi vent’anni, oggi superano le 52mila unità".
Secondo la Lega dei Ticinesi il telelavoro potrebbe favorire proprio la concorrenza dei lavoratori italiani, ben disposti a mettere le loro competenze a disposizione delle aziende elvetiche che pagano anche il doppio rispetto alle imprese italiane. Da qui la richiesta di una moratoria sul rilascio dei nuovi permessi G nel terziario, in attesa che il Governo di Berna si pronunci sulla mozione che chiede di non sottoscrivere alcun nuovo accordo con l’Italia in materia di telelavoro dei frontalieri.